Un saluto a Lou Reed

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[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]Leggo che è morto Lou Reed.

Beh, per me è molto più grave che se fosse morto – che so – Alvaro Vitali o persino Gianni Morandi.

Nei miei 15/20 anni, Lou Reed era quell’americano di Nu Yok, figlio se non sbaglio di un avvocato (come John Mc Enroe) che era sempre sul punto di lasciarci per overdose di eroina.

Sempre per me, faceva parte di un ipotetico “terzetto dei maledetti” in cui militavano anche Mick Jagger e David Bowie. Infatti, separatamente, si vociferava che Bowie avesse avuto rapporti intimi con entrambi.

Molti anni dopo, Reed riuscì a stupirmi per essere riconosciuto come il compagno di Laurie Anderson, sofisticatissima performer di cui non è possibile dimenticare Language is a Virus. Fino al giorno prima, credevo che Reed odiasse le donne (a parte e compresa la bella e tedesca Nico, dei Velvet Underground).

Sia come sia, tutti conoscono almeno una canzone di Lou Reed, probabilmente Walk on the Wild Side.

Io ero rimasto intimorito dal live Rock’n’Roll Animal, dove un – si diceva – Reed all’ultimo stadio di drogato aveva dato il meglio di sé, supportato in maniera sublime da Steve Hunter, chitarrista dell’arcimadonna. Non a caso, mia figlia di allora 5 anni era rimasta ipnotizzata dalla versione live di Rock’n’Roll, che raccontava come Jenny, anch’ella di 5 anni, avesse avuto salva la vita dal rock and roll.

Live a parte, di Reed mi piaceva moltissimo Satellite of Love e anche Temporary Thing, una canzone dal testo duro inserita in un disco che era una presa per il culo: Rock and Roll Heart.

Ho posseduto anche l’altra, enorme, presa per il culo di Reed: Metal Machine Music, un doppio senza nient’altro che il suono di amplificatori finali di potenza in cui veniva fatta passare la corrente.

L’ultima volta che me lo vidi di fronte (sullo schermo) fu in Blue in the Face, un delizioso film non troppo serio che faceva seguito al poetico Smoke.

Ma di tutta la non irrilevante produzione di Reed, con e senza i Velvet Underground, ho sempre trovato insuperabile – e insuperabilmente crudele – Berlin.

Quindi saluto Lou Reed, augurandogli che la terra gli sia lieve, con la sua stessa Sad Song, da Berlin.[/vc_column_text][vc_separator type=”normal” up=”15″ down=”10″][vc_video link=”https://youtu.be/sc54vcmcZKA” title=”Lou Reed – Sad Song”][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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