A una fiera di San Nicolò di mille anni fa (ne dovevo avere 15 o 16) in una bancherella trovai un LP con una copertina strana: un tizio dall’aria spiritata faceva un gesto con la mano, avendo uno spillo infilato sotto la pelle della guancia. The Psychomodo. Forse un libro non va giudicato dalla copertina, ma un disco a volte sì. Quella sera ascoltai per la prima volta un concept assurdo, sconclusionato, a tratti buffonesco ma sempre malinconico, drammaticamente coerente e pieno di energia. Innalzai sul pennone di casa la bandiera di Steve Harley & The Cockney Rebel. Non l’ho mai tolta.
Sarò breve. Steve Harley sapeva nascondere messaggi nelle sue canzoni. Non di parole o di note: di sentimento. Non in tutte le canzoni, beninteso. Ma in alcune sì. Così c’è una versione acustica dal vivo di Riding the Waves che non ha eguali e qualsiasi versione di Tumbling Down che non ha eguali. Nella musica. Tutta.
Pian piano se ne stanno andando tutti. Nel ‘23 Tom Verlaine, nel ‘24 Steve Harley. Male, molto male. Ma va bene così.