Magnus Carlsen

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A qualcuno non piace lo stile di Magnus Carlsen, perché non è aggressivo come Kasparov. Qualcun altro, non si sa bene su che base, lo definisce invece il Mozart degli scacchi, forse perché come il musicista ha mostrato un talento precocissimo.

Sto seguendo con una certa assiduità il mondiale e posso dire che – almeno per me – la straordinaria bellezza del gioco di Carlsen sta nella sua precisione assoluta, che lo porta ad accumulare progressivamente piccolissimi vantaggi. Il suo gioco è lineare come quello di Capablanca, e come per Capablanca nasconde una capacità di analisi mostruosa. Dicono (questo, tutti) che Carlsen strangoli lentamente l’avversario, per esempio a differenza di Kasparov che invece assestava un knock out apparentemente proveniente dal nulla. In ciò Carlsen assomiglierebbe un po’ a Petrosian, l’armeno che diceva: “Mi piace vedere l’avversario dibattersi nella trappola da lui stesso tesa, per eccesso di ottimismo”. Ma a differenza di Petrosian, Carlsen non è un giocatore difensivo: non attira l’oppositore invitandolo a prendere iniziative imprudenti. Per quel che vedo, somiglia di più a una parete mobile che man mano rimpicciolisce la stanza in cui si trova il malcapitato contendente. Dopo tanti anni, è il primo che vedo vincere su basi strategiche, non tattiche.

 

Gli scacchi, come tutti gli sport, si sono evoluti notevolmente negli ultimi decenni. Hanno beneficiato in pieno dell’avvento di internet, su almeno tre fronti: la pubblicità, che permette di vedere in diretta le partite di alto livello (seguo il mondiale su tre siti contemporaneamente: uno che inquadra i giocatori, uno che fa commenti tecnici e uno che raccoglie le opinioni in tempo reale degli spettatori: tutti e tre usufruiscono dell’assistenza tecnica di Grandi Maestri); i software di gioco e analisi (a 40 dollari ti compri un programma che gioca meglio della media dei Grandi Maestri); la possibilità di trovare avversari con cui giocare a ogni ora del giorno e della notte.

Carlsen è in tutto e per tutto figlio della sua epoca (ha 22 anni), e potendosi avvalere dei nuovi mezzi tecnici ha ottimizzato i propri tempi di studio (qualunque software da 20 dollari memorizza e valuta tutte le varianti, anche migliaia, che gli vuoi dare da analizzare). Quindi non c’è paragone tra la sua preparazione e quella – per esempio – di un Fischer, che studiava con carta e penna e una scacchiera di legno in cui ovviamente poteva provare una sola variante alla volta. Per dirne un’altra: ci sono database di partite famose, aggiornabili giorno per giorno con i risultati dell’ultimo torneo giocato, che per 50 dollari ti danno 2,5 milioni di partite già disponibili, naturalmente ordinabili per torneo, giocatore, apertura, variante, risultato.

 

Nelle interviste pre match (Carlsen-Anand) e durante il match, giornalisti anche ben informati sugli scacchi pongono a Carlsen domande che per noi sono giuste e ovvie, ma di fronte alle quali Magnus non sa come regolarsi. Come fai a essere così bravo? L’unica risposta possibile è quella che da’: non lo so. Carlsen è una combinazione di talento naturale, applicazione seria, equilibrio psicofisico (quello che mancava a Fischer e a mille altri: Rubinstein, Tal, Alechin, Nimzowitch tanto per nominarne alcuni). È un rullo compressore perfetto, perché non ha l’idea di esserlo e non ha immagini fuorvianti e colorite di sé stesso. Non crede di essere Qualcuno, non si pone problemi di immagine; d’altra parte è pienamente consapevole di essere fortissimo, non perché se lo racconta ma perché lo dicono i risultati.

All’osservazione “Anand è molto preparato sulle aperture: ne terrai conto?”, ha risposto: “Non particolarmente; io sono forte in altro e mi auguro di dover costringere l’avversario a dover tener conto di ciò, anziché dovermi io adattare a lui”.

 

L’Uomo ha bisogno di trovare in continuazione eroi. Quindi ora Carlsen viene proposto/venduto come un eroe. Ma non lo è: è un giovane uomo pieno di talento in ciò che fa, attorno al quale è stata costruita una fama di imbattibilità che serve alla gente per l’identificazione sublime.

Io non lo guardo come un eroe – gli eroi cadono; guardo invece a quello che sta facendo in questi giorni come un esempio di bellezza e arte, come si fa con le più alte manifestazioni dell’ingegno e della creatività umane. È un bel vedere.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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