Ricordo di uno stage

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Questo post lo dedico all’unico che lo può capire senza commenti e spiegazioni: Maurizio (III dan Shotokan), uno dei miei Fratelli.

Dalla VW Golf scesero Taiji Kase, Hiroshi Shirai, Takeshi Naito, Maurizio Marangoni, Giuseppe Formenton.

Qualcuno di noi allievi notò ridacchiando che non era un gruppetto con cui litigare per questioni di stop o precedenze automobilistiche. Il maestro Carlo Fugazza, già in mezzo a noi, si mostrò d’accordo.

Avevo appena preso la cintura gialla e non ero neanche ben sicuro che Formenton, il mio istruttore, mi avrebbe permesso di partecipare allo stage. Ma poi mi trovai a Lignano Sabbiadoro con mio fratello gemello e il carissimo “Pimpi”, dopo aver scoperto che anche Pimpi era un nostro gemello, essendo nato lo stesso giorno dello stesso anno. Non era la prima sorpresa. «Pimpi, ma tu come fai di cognome?» – «Bresigar» – «Ah! C’era un Bresigar canottiere, molto forte tra gli juniores del singolo…» – «Ehm, ero io».

Stage di due giorni: due mattine e il pomeriggio in mezzo. Primo allenamento all’aperto, sul piazzale del palazzetto dello sport. Cinture bianche, gialle e arancioni: con Shirai. Torno a casa e accendo un cero alla madonna.

Cinture verdi e blu con Fugazza. Fa caldo (giugno), ma a tratti arriva un soffio d’aria. È il vento? No, è Fugazza che sposta l’aria quando chiude le anche con jaku tsuki.

Shirai ci dice: «Voi sapete Eian Shodan, adesso facciamo Eian Sandan». Miracolo: salto a piedi pari di Eian Nidan, andiamo a vedere direttamente il terzo kata. Non troppo strano che a 35 anni di distanza anche oggi mi ricordi ogni virgola di Eian Sandan, tutti i perché e i percome.

 

 

Un disguido organizzativo: invece di ruotare gli insegnanti tra i vari gradi di cinture, ci tocca Shirai per tutti e tre gli allenamenti. Torno a casa, e accendo due ceri alla madonna.

 

Invidia: durante il kion, Shirai ferma tutti e dice: «Così, così! Dovete fare come lui!». Non sta indicando me, ma mio fratello.

Avevo 20 anni, ma quello stage per me è finito ieri mattina.

2 comments

  • Non ho mai amato lo stage, di carattere rifuggo la folla, non riesco a trovare la necessaria concentrazione. Poi ho sempre mal sopportato il tentativo di traslare, negli stage come nelle palestre, lo “spirito orientale”. Insomma pareva che si dovesse aderire a una sorta di way of life giapponese. L’unico pensiero che mi traversava la testa verso la fine della lezione era (è) di farmi uno spritz con l’acciughetta che non è propriamente la versione nostrana di sake e sushi.
    Ritengo superflui e pure un po’ ridicoli la cerimonia del saluto, tutti quegli inchini (un sorriso è assai più efficace), i poster del caposcuola di turno, di solito un incartapecorito cachettico, appesi alle pareti.
    Insomma non capisco perchè non ci possa essere una via italiana (o francese, canadese, cilena, ecc) alle arti marziali.
    Pare che lo sci sia originario della Scandinavia: prima di buttarsi giù per le piste credo che nessuno senta la necessità di cantare l’inno nazionale norvegese.
    Sicuramente quello più affascinante era Kase. Mentre gli altri agivano sostanzialmente per linee rette (avanti-indietro-destra-sinistra) lui aveva fatto delle rotazioni il suo punto di forza, dando quell’idea di continuità di cui si parlava qualche tempo fa. Le rette, anzi semirette, hanno inizio e fine, i cerchi no. Univa queste curve a tecniche di mano aperta coniugando potenza e grazia, in una sorta di danza ipnotica. Non l’ho conosciuto personalmente, come gli altri peraltro, ma mi pareva il più alla mano, complice il faccione da bonaccione che mi ricorda Anacleto, il gufo della “spada nella roccia”.
    Degli altri ho solo vaghi ricordi: mi hanno detto che Maranga ha da molto tempo abbandonato la pratica aderendo a filosofie non violente. Mi pare di ricordarlo in una commissione d’esame, non ricordo quale, forse per il mio primo dan. Curiosa la foto Formenton: l’ho mentalmente cristallizzato con il baffo! Lo vedo due volte la settimana nella palestra che frequento. E’ su una foto appesa alla parete della sala, baffuto, appunto.

  • Ho assistito recentemente a uno stage di Aikido, dove il vecchissimo ma sempre valido Hiroshi Tada dispensava saggezza a piccole dosi, circondato dai leccaculo di turno pronti ad accorrere a ogni suo gesto, mentre nella palestra campeggiava un suo ritratto (in bianco e nero, ca va sans dir), quasi si celebrasse un dio, o un morto.
    Conosco il tuo timore degli stage, ma più degli atleti mi spaventano gli assistenti, gli istruttori, i maestri discepoli dei grandi maestri. Essi, solo in quelle occasioni, si auto-riconducono a un comportamento da scolaretti zelanti, ciabattando come papere all’alzarsi di ciglia del supremo maestro.
    Ecco perché quello stage mi è rimasto nella memoria (anche): per la totale informalità gerarchica. Ci fosse stato solo Shirai, sono ora certo sarebbe andata diversamente. Egli ama lo sguardo delle genti. Ma, col ciccioso e pacioso gufo sopra di lui, non poteva.
    Naito era sorridente (anni prima di prenderle di santa ragione nei tornei mma), Marangoni cupo e misterioso (come sempre, cioè), Fugazza cordiale ed educatissimo. Formenton sembrava un bambino che ha vinto un allenamento con Maradona.

    Kase è/era (rip) quello che hai detto tu: circolare. Infatti lui era Kase, gli altri no.
    Formenton ha sempre i baffi, anche se virtuali e invisibili: un Formenton senza baffi non è ammesso né ammissibile e segnerebbe la Fine dell’Universo.

SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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