Il Triangolo

I
[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]Ai limiti orientali della Pianura Padana ci sono tre località dal nome suggestivo. Deve essere un bambino a sentirli ed elaborarli, altrimenti il gioco quasi certamente non funziona.
Redipuglia è famosa per il sacrario della I Guerra Mondiale: un’enorme scalinata che sale una collina, biancastra contro la terra e l’erba, visibile da almeno dieci chilometri di distanza. Qui si è combattuto duramente e non è insensato che Mussolini, nel 1938, avesse deciso di commemorarvi con tanto monumento 100.000 dei quasi 700.000 patrii caduti. Se però almeno una volta l’anno tutti gli italiani sentono quel nome, quasi nessuno si spiega cosa c’entri un fantomatico sovrano delle Puglie con queste terre.
A cinque, sei anni, mi raffiguravo un nobile vestito come il Re Sole o un pazzariello napoletano – che fa lo stesso – giunto in soccorso degli esausti alpini autoctoni con truppe fresche benché di idioma diverso, capace di scacciare il barbarico nemico. “Non sarà” – paventavo – “che poi ha voluto stabilire qui un avamposto dei suoi meridionali dominii, a mo’ di ricompensa?”. “O che per caso ora la Venezia-Giulia confina con il barese?”.
No. Fortuna o sfortuna che sia, niente di ciò, né c’entra qualcosa l’antichissimo e non molto noto Regno di Puglia, di cui a braccio avrei collocato le origini nel Basso Medioevo.
‘Redipuglia’ deriva da un fantasioso imbarbarimento italico di redi-puglia, con caduta della sibilante, che corrisponde allo sloveno Sredij Polie, significante semplicemente Campo/Terreno di Mezzo.

Pochi chilometri più a sud, sulla medesima statale 335, c’è Ronchi dei Legionari. Con tipico sincretismo logico infantile, immaginavo che qui una o più legioni romane fossero state poste a baluardo e difesa di terre di incalcolabile importanza strategica (tanto da suscitare in secoli futuri la concupiscenza di un sovrano pugliese). Alternativamente, ipotizzavo che le celebri doti guerriere degli abitanti della Bassa Padana avessero convinto il Senato o qualche imperatore romano a stabilire nei pressi una scuola militare di grande prestigio, capace di sfornare invincibili milizie destinate alle più remote ed esotiche regioni d’influenza del potere della Lupa. Ma poiché sapevo che l’Ombra di Roma più non occupava da millenni il cielo occidentale, la mia domanda interiore era “Ma ci sono ancora, i legionari, a Ronchi?”…”e se sì,  come si riconoscono? Portano ancora il gladio e i calzari dai lacci intrecciati?”. Ronchi, per tramite dei suoi antichi soldati, mi suscitava da una parte una certa sicurezza interiore (erano pur sempre valorose milizie nostrane, no?), dall’altra un certo disagio dettato da una imprecisata pericolosità (e se questi legionari, uomini rudi ed esperti d’armi, si arrabbiano? è sicuro per un visitatore occasionale entrare in un bar di Ronchi?). Forse li assimilavo agli ex galeotti della Legione Francese, fatto sta che non sarei entrato volentieri da solo in paese, e nemmeno con mia madre; solo l’enorme forza e invincibilità di mio padre mi avrebbero garantito incolumità e sicurezza (del resto, mio padre assomigliava proprio a un condottiero romano).
Recentemente ho scoperto un sottile filo logico e ideologico che accomuna le sorti toponomastiche di Redipuglia e Ronchi, svelandomi il secondo mistero. Come Redipuglia era stata un’operazione – per una volta giustificata – di italianizzazione, così i legionari associati a Ronchi altro non erano che i compagni di D’Annunzio nell’Impresa di Fiume (1919); nessuno scudo rettangolare, nessun salario guadagnato sotto elmi piumati, ma solo propaganda fascista. Quel “dei Legionari” è solo recente e poco prestigiosa sovra-imposizione all’altrimenti anonimo Ronchi (di-Monfalcone, fino al 1925).
Sarebbe qui da aprire una parentesi sulla potenza evocativa dei genitivi attributivi, sia soggettivi (come in Ronchi) o oggettivi. Non risulterebbe superfluo, visto che sto per nominare
Doberdò del Lago, il terzo vertice del triangolo. La pianura è sparita. Doberdò sta in una valle, separata perciò da Ronchi e Redipuglia da un lato di colline boscose e cupe. Il Vallone – così si chiama – è lunghissimo, tortuoso, scarsamente abitato e buio. Roba da Re Artù e i Cavalieri, Morgana e Uther Pendragon.
Il nome sloveno (Doberdob) non fa riferimento a laghi, che pertanto riecheggiano solo nella toponomastica italiana.
Il lago di Doberdò è piuttosto speciale. Sta in una zona geologica in cui non sono frequenti le estensioni lacustri, a causa del carsismo, e quindi è insolito di per sé.  Ma, soprattutto, è un lago fantasma, in due sensi. Primo: tu ti aggiri dalle parti del paese, arrivando da una delle due possibili direttrici e comunque il lago non lo vedi. Poco male – pensi – ci sono anche altri laghi che non si vedono dal luogo che dà loro il nome, no? Sì, può darsi, non lo so, ma insomma è possibile. Certo che una qualche curiosità ti è venuta, visto che è l’unico lago dei paraggi.
Ma spesso, molto più spesso di quanto si possa pensare, il lago non c’è in senso letterale. Io – per esempio – non l’ho mai visto.
Intorno al lago ci sono ristoranti, b&b, agriturismi… quel che manca è solo l’acqua.
La verità è che esso non ha immissari né emissari, e in alcuni periodi dell’anno sparisce, risucchiato nel sottosuolo. Quando riaffiora, dalla superficie spuntano alberi, massi, cespugli, che in realtà non si erano mai mossi da lì. Come a Okeefenokee (tra Georgia e Florida), solo un po’ più in piccolo.


Da sempre, sono invidioso di chi sulla carta d’identità porti scritto: “luogo di nascita: Doberdò del Lago”. Perché ha avuto la fortuna di vagire in in posto un po’ magico dove senz’altro, nelle notti adatte, dall’acqua spunta una mano di donna che regge una spada e – se sei fortunato – una barca che ti può portare, se non ad Avalon, almeno tra i Legionari di Ronchi, che combatterono al fianco del Re di Puglia nelle Terre di Mezzo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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