Stalker

S
[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]Ieri un’amica mi ha chiesto cosa pensassi di Solaris, il romanzo del polacco Stanislaw Lem. Ne penso molto bene e per associazione mi è venuto in mente Stalker, dei fratelli Strugatsky.
L’ho trovato tra i libri di mio fratello e da allora l’ho letto almeno 5 volte. Mio fratello me l’ha lasciato volentieri, asserendo trattarsi di boiata colossale, mentre mi ha caldamente suggerito il film, a firma Tarkovsky, che mi sono procurato trovandolo una cagata pazzesca. Mio fratello non è cretino, e nemmeno io. Trovo perciò singolare e interessante che si abbia opinioni così nettamente contrastanti sul romanzo e il film.
Stalker, del 1972, alla prima lettura mi ha colpito come una martellata, quasi come Ubik di Dick. La trama è carina, ma niente di mirabolante e si riassume in due righe: degli alieni sono arrivati e partiti, lasciando sul terreno degli oggetti misteriosi, alcuni banali altri meno. Gli stalker del titolo sono dei cercatori di questi oggetti, che rivendono.
Veramente il titolo originale (Picnic na obochine = picnic sul ciglio della strada) è più in linea con l’idea degli Strugatsky, che hanno preso ispirazione proprio dalle formiche che vanno a caccia dei residui di un picnic. Beh, non importa.
Quel che importa a me è lo stile descrittivo, che è una roba che non avevo mai visto prima. Non si tratta di escamotage grammatical-periodali come in Joyce o Wallace, che si sono inventati un modo. No no: in Stalker ogni singola frase (almeno nella traduzione) è perfettamente normale. Ma tutto l’insieme dà un senso di spaesamento, di effimero, di tangente che non focalizza mai il centro. Tutto è mobile. Gli oggetti assumono un senso precario, ma in modo diverso che in Dick. In Dick cose e persone apparentemente banali assumono improvvisamente importanza, salvo perderla poco dopo. L’universo di Dick è una continua bufera in cui non sai dove guardare e a cosa badare, perché tutto cambia continuamente. In Stalker invece le cose filano lisce dall’inizio alla fine, lineari. Ma c’è sempre qualcosa che sfugge, come un discorso orecchiato da due vicini che sanno perfettamente di cosa stanno parlando e quindi non occorre lo nominino, mentre tu stai lì a cercare di capire di che stiano cianciando. Dick ha sempre un focus, per quanto bislacco, Stalker no. Dove un autore americano spenderebbe un capitolo per descrivere, i fratelli Strugatsky fanno un breve cenno e poi ti piantano lì, passando ad altro che non è più fondamentale di quanto hanno appena abbandonato. Sembra un acquarello, ma senza la stessa atmosfera pacifica. Ho trovato qualcosa di simile in Metro 2033 di Gluchovsky: idee molto promettenti, su ognuna delle quali Hollywood farebbe un film con 3-4 sequel, lasciate cadere dopo che ti è venuta l’acquolina in bocca.
Non lo so, ma non credo sia una scelta stilistica. Penso invece sia la conseguenza di una mentalità, un modo di vedere il mondo e i suoi accadimenti. Fatto sta che tu, occidentale, leggendo continui a inseguire farfalle che non acchiappi mai. Ma non è neanche frustrante: è vago. Ecco, forse vago è l’aggettivo più adatto al romanzo. E quando hai accumulato abbastanza assenze da farti quasi arrabbiare per l’inafferrabilità del tutto, il libro finisce.
Stalker è un’esperienza. Fatela.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Add comment

SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

PUOI TROVARMI ANCHE QUI