San Cassian e i Veri

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Ogni città, per chi ci vive, ha dei confini invisibili che separano significati. Basta un albero, un cancello o un colpo d’occhio e si passa da una zona a un’altra, diversa. Tutti noi abbiamo una mappa interiore, personale, che suddivide le nostre città in aree il cui sapore è determinato dal sommarsi degli strati d’esperienza soggettiva. Gli strati cominciano a formarsi da quando abbiamo memoria e forse persino – inconsciamente – da prima che la capacità di ricordare si consolidi. Le mie mappe razionali di Trieste originano da quando avevo tre anni, ma probabilmente quelle inconscie da ancora prima. Quelle di Venezia si sono formate più tardi.

A Venezia, tra i nove e i dodici anni, facevo quello che tutti i bambini veneziani facevano: giocavo a calcio per strada, attento che non passassero i vigili (il calcio per strada è vietato, a Venezia; mi pare che oggi l’ordinanza abbia prevalso ovunque sullo stimolo giovanile).

Provenivo da Trieste, per cui ho dovuto studiare quel libro veneziano di regole, abitudini e informazioni che era già stato scritto, anziché scriverlo io.

Dovunque si giocasse a calcio, c’era un’informazione precisa, che diceva “il calcio migliore, inarrivabile, si gioca a San Cassian”.

In campo San Giacomo si giocava tutto il giorno, fin dopo il buio. C’era una specie di mago del pallone: Gino Michilin. Piccolo di statura, correva come nessun altro, palleggiava come nessun altro, segnava come nessun altro. Se anche una partita era già iniziata, se anche si era in numero pari, quando arrivava Michilin un posto per lui c’era sempre. Stare in squadra con lui, o anche contro, era un onore speciale. Il fatto che ti rivolgesse la parola, per faccende di calcio o altre, ti restava appuntato al petto per settimane, come una medaglia particolarmente fulgida.

Ebbene, un giorno sentii con le mie orecchie Gino Michilin affermare che però a San Cassian il calcio era un’altra cosa. A quel che capii, lui era stato ammesso a giocare a San Cassian, ma solo da esterno, estraneo, una tantum. Ricordo perfettamente il tono – per lui insolito – di rispetto. Era lo stesso tono di chiunque parlasse di calcio & San Cassian, benché forzatamente meno autorevole di Gino Michilin. San Cassian era il calcio, a Venezia.

Io in campo San Cassian non ho mai visto nessuno con un pallone ai piedi; anzi, non ho mai visto nessuno tout court. Contrariamente al grande, accogliente, variegato campo San Giacomo, San Cassian è un campetto di passaggio, che gli urbanisti del ‘400 non avevano mai avuto in mente di rendere adatto ad attività pedatorie. Pare che lì il calcio si praticasse all’interno dell’impenetrabile oratorio (a Venezia, patronato). A dirla tutta, non ho mai sentito neanche un rumore provenire da di là dell’alto muro del patronato, che con tutta evidenza sembravano proteggere e custodire proprio un campetto da calcio.

Non ho neanche mai conosciuto né semplicemente incontrato qualcuno che dichiarasse di provenire da San Cassian, e sì che a Venezia ci sono rimasto sei anni, in costante e continua frequentazione delle strade.

Resta il fatto che solo lì, secondo la leggenda, si giocava a calcio “come i Veri”.

Come i Veri è un’espressione triestina, che ho imparato dopo aver lasciato Venezia. Se uno mostra un’eleganza particolare, o esegue – che so – un’impennata spettacolare con il motorino, o compie qualunque impresa al di sopra della norma, viene insignito contestualmente di quest’esclamazione di divertita ammirazione. I Veri sono naturalmente i non identificati cultori di specifiche Arti, che padroneggiano con maestrìa. Essere come i Veri è il massimo che si possa raggiungere, in qualsiasi campo delle attività umane. “Te son come i Veri” è un complimento di cui andare giustamente orgogliosi. Gino Michilin – però – non giocava come i Veri: era un mito di per sé stesso.

A San Cassian si giocava come i Veri, dicevo. Che non ho mai visto, dicevo. E che non ho neanche mai sentito, al di là del protettivo muro del patronato.

Ora mi viene un sospetto, che metterebbe a posto tutte le incongruenze del caso. E ne faccio un’ipotesi.

A San Cassian non giocavano come i Veri, ma giocavano proprio i Veri. Che, come tali e per definizione, non sono identificabili in persone reali e concrete, ma hanno la natura di astrazioni antropomorfe di maestria. Come gli dei dell’antica Grecia.

Michilin, grazie al suo (umano) virtuosismo, era stato occasionalmente invitato sull’Olimpo, del quale non poteva poi non parlare col dovuto rispetto.

Se passate per il vuotissimo campo San Cassian, a Venezia, sappiate che dietro il muro del patronato giocano gli dei.

E passate in silenzio, ‘che non è luogo per noi.

5 comments

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  • Gino Michielin era geneticamente raccomandato.
    Era nipote d’arte. Lo zio Piero stava nella formazione titolare del calcio Venezia molti anni prima della discesa negli inferi delle serie minori.
    Grande persona Piero, detto “Boca” per via della insolita foggia assunta dalle labbra dopo un imprecisato incidente, subito rielaborato dalle nostre fantasie, avide di avventura, ora come conseguenza di una pedata vigliacca subita in tackle (vincente, ovviamente)ad opera del grande campione (argentino? uruguagio?)poco avvezzo alle umiliazioni, ora come sequela di un impari (per gli altri) corpo a corpo con un numero indefinito (comunque non inferiore a tre)di molestatori da balera di bellissime ragazze.
    Piero Boca oggi,nel campetto del Patronato di San Cassian, gioca anche per loro, dribblando gli altri Dei senza nemmeno sfilare dalle labbra la perenne sigaretta accesa.

  • Maurizio, mi sa che era meglio se questo post lo scrivevi tu!

    Io pensavo che Gino si chiamasse Michelin, ma su fb lui stesso – che ho avvertito del post – ha scritto Michilin.
    Michielin mi pare un ottimo compromesso, e forse è la verità.
    🙂

  • Edoardo tutta la vita anche adesso che ho 54 anni mi chiamano michelin e quando vado in qualsiasi ufficio scrivono ancora michelin nonostante il mio cognome sia Michilin . Ringrazio le belle parole di Maurizio nei confronti di mio zio Piero campione di calcio e di biliardo scomparso troppo giovane per un malore improvviso in campo s.giacomo dell’orio. Grazie ancora .

SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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