Pasolini mi è sempre stato moderatamente sui coglioni, per un paio di perché fondati e altri meno fondati. I primi hanno a che fare con la sua attività di regista: faceva film orrendi e recitati malissimo. I meno fondati erano “indiretti”, cioè non Pasolini in sé, quanto l’iconografia che l’attorniava, da vivo e da morto: ” l’ha detto Pasolini” e più non dimandare. Metà del più trito e vacuo super-conformismo sinistrese si accompagnava al suo nome.
Recentemente ho visto un documentario su di lui, con un buon numero di interviste dirette e altrettante citazioni dai suoi libri. Beh, ho cambiato idea. La cosa che mi ha colpito di più è stata la gentilezza, il modo di esprimersi, la calma, così lontani dall’idea di guru che mi ero erroneamente fatto. In secundis – grande merito – era uno che provava a ragionare da solo, pur frenato da vincoli ideologici grossi come macigni. Del resto, l’ammetteva: tutto il suo ragionare era ideologico. Purtroppo, aveva una visione delle cose che se da un lato era libera, dall’altro era appunto appesantita da ipotesi assurde, principalmente il mito del buon selvaggio, così ridicola e aprioristico-assiomatica (nessuna prova) da risultare infantile. Ne consegue anche una terminologia datatissima e in totale contrasto col suo tentativo di analisi: la piccola borghesia (anzi, i piccoloborghesi) erano Il Male, senza distinguo di sorta. Sicuramente influenzato dalla propria storia familiare, è come se a una certa età della ragione avesse stabilito dei princìpi inviolabili su cui costruire tutte le successive speculazioni. Che peccato! Davvero peccato dover pagare un prezzo così alto a feticci e contro-feticci talmente arbitrari da non poter essere sottoposti alla verifica della sua sottogliezza di analisi. Senza questo fardello sarebbe stato davvero grande.