Nonno Carabiniere

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Prosegue la serie di raccontini stimolati dal gruppo feisbuc di cui mi onoro di far parte, il 114° Corso AUC Artiglieria a Traino Meccanico.

NONNO CARABINIERE

Prima di arrivare a Bracchausen, dei carabinieri conoscevo solo le barzellette.
Il 16 gennaio 1984, giunto a Roma, ricevetti un insolito invito da mio cugino, finanziere: “Perché non fai domanda per i Carabinieri?”. Il beneficio che mi sembrò più interessante era il tesserino che – a quelle latitudini – permetteva di entrare gratis al cinema. Non immaginavo né che si potesse fare una simile domanda – ero in Artiglieria, no? che c’entrano i carabinieri? – né che moltissimi miei colleghi auc avessero la stessa idea, e tutti da ben prima di me. Feci domanda, e poi la selezione.
Un corso auc è strano, visto dalla prospettiva di un aspirante carabiniere. Tutto diventa provvisorio, nella tua Scuola d’Arma. Ami il tuo pezzo, stimi i tuoi compagni, condividi le loro giornate, ma la tua mente è altrove. È come un doppio binario: fai le cose con cura, ma non riesci a vederti nel poi, nella sede di prima nomina. Hai la sensazione di stare in parte tradendo le ragioni per cui sei lì, i tuoi colleghi e i tuoi superiori. Prima o poi sarai comunque ufficiale, ma se non riesci ad aggiudicarti la stelletta d’argento sarà una mezza sconfitta, un successo amaro.
Nel frattempo, l’idea del carabiniere cresce, supportata da leggende di ogni tipo, per lo più alimentate da quelli del 113° con colleghi che ce l’hanno fatta, sono passati per la Scuola di via Aurelia. Io l’avevo vista – da fuori – quella Scuola: solide ed eleganti palazzine di mattoni, con un parco intorno. Un altro mondo, rispetto alla Montefinale.

Ti raccontano leggende, persino l’assurdità che lì saresti servito da camerieri in guanti bianchi; alla mensa serale di Bracchausen non riesci a pensare ad altro, facendo inevitabili confronti. Cominci ad apprezzare l’eleganza delle uniformi nere, e soprattutto quegli alamari argentati, incongrui, sui risvolti. Li sogni, così come ti figuri con una pistola tutta tua. Insomma, ti viene indotta la sensazione che un ufficiale dei Carabinieri stia su un altro pianeta, rispetto a qualsiasi alternativa. Ti sei dimenticato le barzellette – che comunque riguardano solo la truppa – e guardi all’Arma come a un ordine segreto, quasi monastico, dove regnano solo privilegi. Niente fango, mani sporche, bussole che si ribellano al tuo volere.
Quando arriva aprile, forse maggio, e qualcuno lassù sta decidendo di te, la tua tensione è palpabile. Sei nervoso, hai paura. E se non ti prendono? Il ten. Lubrano mi si avvicina e mi fa: “Burlini, se vuole, un posto qui alla Scuola per lei c’è”. E tu gli devi dire grazie ma sto sperando in ben altro. Ormai non sei più completamente lì; comunque vada resterai sempre un mezzo traditore, se non nei fatti nelle intenzioni.
Poi, in un pomeriggio di libera uscita, tuo zio ti dice che ha avuto la risposta dal Capo di Stato Maggiore: è fatta. Torni alla Montefinale galleggiando nell’aria, e mentre ti guardi intorno vedi le cose in un altro modo: stai già prendendo congedo da tutto, da quella che negli ultimi mesi è stata la tua vita. Non appartieni più all’Artiglieria, sei un fantasma che cammina.
Un giorno ti vengono a prendere, te e quelli dei tuoi compagni che anche loro ce l’hanno fatta. Comincia una nuova vita: tutto è talmente diverso che fai fatica ad abituarti. I camerieri hanno veramente i guanti bianchi, a mensa puoi scegliere tra diversi tipi di grissini, stai in una stanza con armadio e scrivania, con un solo collega e il bagno privato. Non fai il cubo; se vuoi rifai il letto, se no lo lasci com’è. I tuoi nuovi insegnanti sono maggiori, colonnelli, generali, non tenentini di prima nomina. Hai un poligono privato, dove spari con un po’ di tutto. E vivi a Roma, così puoi uscire ogni giorno con la curvilinea ausiliaria che prima veniva a trovarti solo il sabato pomeriggio, per cercare boschetti dove palparle le tette. Non hai cambiato pianeta ma sistema solare, galassia.

L’una o due volte che torni a trovare i tuoi amici artiglieri, vedi che hai perso il filo dei loro racconti, delle battute, dei chi cosa quando. I tuoi nuovi compagni sono diversi, molto più competitivi: qui non c’è quella “famiglia” con cui hai vissuto per quattro mesi e mezzo, ma solo gente che spera di metterlo in culo agli altri sulla destinazione di prima nomina.
Ce l’hai fatta, indubbiamente. Sei un figo tra i fighi. Ma a posteriori, di quasi quattro anni di servizio militare, qual è il momento che ti ha emozionato di più? Nessun dubbio: è stato quel giorno che hai gridato “Fuoco!”, il tuo tiratore ha azionato la leva, e l’FH70 ha fatto davvero fuoco, con un tuono che ti porti ancora dentro.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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