Le macchine da scrivere non galleggiano

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[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]Ho un amico con la faccia da cazzo.

Non è un’offesa, dipende come lo leggi. Sono sicuro che molte donne lo troverebbero fighissimo. Pure la mia fidanzata ha fatto un’espressione come per dire “Ehi! In giro c’è di molto peggio!”. Più o meno come direbbe – lei e tutte le altre – se alla porta bussassero Brad Pitt o Colin Farrell.

Concordo.

Non è che siamo proprio amici, come il compagno di banco delle elementari. È che anni fa abbiamo passato un bel periodo insieme, senza esserci mai visti di persona. Lui aveva un sito di scrittura. Non eravamo più di venti. Scriveva da dio.

L’ho ritrovato da un po’, scoprendo che prima e dopo essere scrittore di talento, è musicista. Tipo punk o post-punk, ma non esattamente. Forse per questo va in giro a torso nudo, come Iggy Pop (ma è senz’altro più bello).

Perché dico tutto questo? Forse perché mi hanno raccontato una parte della sua storia, in cui doveva partire col suo gruppo in tour con i Simple Minds, ma non è successo.

Si chiama Alex Fornari, e non ho capito se è di Milano, emiliano o di dove. Potete trovarlo sul Tubo anche come PaleTV, o anche solo Pale (è fortemente minimalista).

Io l’ho conosciuto come Seth Belavoure, l’uomo dal panciotto dorato. Questo strano nome a suo tempo mi ha ispirato un divertissement a base di minimalisti, Chuck Palaniuk, litigi tra siti letterari.

Non preoccupatevi se non ci capite niente: non è per voi, ma per lui e la sua faccia da cazzo.[/vc_column_text][vc_separator type=”transparent” up=”10″ down=”10″][blockquote text=”Ciao, Seth.
(19/12/2010)
“ieri non riuscivo a togliermi di testa un incipit: “Sono Serp Belfagour, dei Belfagour di Boston…“.
Non chiedetemi perché: non ne ho idea.
Così ieri sera ho cominciato a scrivere una roba sconclusionata. che tale è restata.
non è un racconto, non è neanche uno shot, forse il suo posto è il caos.
credo sia ingiudicabile, ma la posto lo stesso, come viscido omaggio di un adulatore di professione, al nostro Signore con il panciotto dorato.
Sono Serp Belfagour, dei Belfagour di Des Moines.
La mia famiglia discende da Evariste de la Roche de Belfagour, Consigliere del Re, e maggior importatore di Francia di carta intestata.
Questo vi fa capire come, nella mia stirpe, la letteratura sia parte del quotidiano da sempre.
Non vi racconterò come il mio trisavolo lasciò la Francia, né soprattutto il perché. Vi basti sapere che troppe voci si rincorrevano, in quel periodo, perché egli potesse permettere che la nostra schiatta continuasse a prosperare in una Nazione cui aveva dato molto, ricevendo forse non abbastanza in cambio.
Così i Belfagour migrarono in Terra di Americhe, dove il nome non suscitava bisbigli sommessi e gesti scaramantici, dove incontrare uno di noi non significava, per il popolo ignorante, correre poi in chiesa a cercare il conforto e la benedizione di Dio.
Nel Nuovo Mondo ci adeguammo agli usi di gente che spesso era giunta lì per cancellare il proprio passato, e così mio nonno lasciò che il nostro titolo cadesse dimenticato, serbando solo il cognome dei Belfagour.
Quando nacqui, mio padre, Auguste Optimus Belfagour, il maggior importatore di buste da lettera auto-sigillanti della Cintura del Grano, impose a tutti, servitù compresa, di chiamarmi solo Serp, benché non fosse quello il mio nome completo. Divenni così per tutti Serp Belfagour di Des Moines, Iowa.
I miei studi furono completati prima a Omaha dove – lo ammetto – contribuii a dare un impulso decisivo alla nomea che ora circonda la Fraternity degli “Eta-Beta-ancora Beta, che-ci-piace”, grazie a una rivisitazione porno dello “schiaffo del soldato”, e quindi a Kansas City, sede del mio dottorato, ove discussi la tesi “Paracelso e l’elisione simbolica dei significati: ipotesi di un troncamento mascherato”.
Ma sin da allora sapevo che il mio destino era altrove, a Manhattan. Per un mero errore del bigliettaio, il treno mi portò a una destinazione che non avevo previsto: Manhattan, Kansas. 52.000 abitanti. Come mi aveva insegnato mio padre, un Belfagour non mostra mai di essersi sbagliato, semplicemente perché egli non può sbagliarsi. Scesi così dalla scaletta con il mio migliore sorriso stampato in volto: il celebre sorriso dei Belfagour, che tante trecciute Janet, Caroline, Barbra e Lisabelle aveva mietuto come vittime temporanee e compiacenti negli anfratti ombrosi dei campus di Omaha e Kansas City.
Grazie alla mia tesi di dottorato, trovai subitamente lavoro alla Recycling Facility di Flint Hills, dove le mie conoscenze alchemiche produssero miracoli nel ridurre a poltiglia riutilizzabile il composito carta-alluminio delle montagne di cartoncini usa-e-getta di birra messicana, di gran moda nella “Little Apple”, come vezzosamente gli abitanti chiamavano la loro cittadina.
Fu proprio in quel periodo di affannosi esperimenti di trasmutazione della materia che successero le Cose. Sembravano completamente indipendenti l’una dall’altra, ma 400 anni di tradizione dei Belfagour mi fanno credere fermamente che nulla accada per caso.
Una sera in cui ero indaffarato sul tavolo di cucina, intento a distillare l’ennesimo campione di cartalluminio birrato, squillò il telefono. Un bevitore di birra di fama internazionale, omosessuale e ispirato, aveva ottenuto il mio numero per una sua ricerca sulle nicchie di produttività americana insolita, anti-main stream e partly-global. Aveva appena riscosso grande successo giornalistico con la cronaca di un combattimento tra mototrebbiatrici. Si presentò come Kurk Paramuk. Capii subito il suo puerile mascheramento: in realtà non poteva essere che Kirk Palanirk, l’idolo indiscusso delle mie letture giovanili. Glielo dissi, e lui ammise. Accettai l’intervista telefonica, e come guiderdone alla fine mi salutò con l’ammonimento: “Taglia, taglia, elidi, tronca. Liberati”.
Capii immediatamente cosa intendeva. Troppo a lungo ero rimasto invischiato in vuote frequentazioni cybernautiche, che mi avevano portato a sognare di essere uno scrittore.
Così smisi di sognare, e fondai quella stessa sera un gruppo di opinione, che chiamai “Dopo La Scrittura”. Poiché sono americano, in realtà il gruppo si chiamava “After The Writing”. Ma non suonava troppo bene. Il giorno dopo, interrogai sul suo blog il polipo tedesco che l’anno prima aveva previsto tutti i risultati dei Mondiali di curling di Toronto, e lui mi consigliò di tagliare ancora. Nel sentirlo così sinergico e coassiale alle parole di Palanirk, tagliai. Il gruppo si sarebbe chiamato “Post-Writing”.
Il gruppo stentava a decollare. L’ultimo iscritto era da tempo un efebico e grassottello post-adolescente dark-gothic, di incerta professione di fede sessuale e di ancora più instabile percezione del Sé Fondante.
Ma io sono un Belfagour. Da secoli noi seminiamo discordia e raccogliamo vendetta. E abbiamo il sorriso dei Belfagour. Accadde così che Haymam, la perfida Signora dei Finti
Scrittori, colei che sola siede, con Dolores Umbridge e Haryen Padua-Schioppa, nel luogo ove è stormir di fronde e volar di passere, mi sentì mancare… mancò il mio sentire… (ecco, ci sono:) sentì il mio mancare. E raggiunseci.
Da quel momento, gli eventi precipitarono. Troppo a lungo la mia schiatta aveva tenuto nascosto l’orribile segreto. Esso esplose dentro e intorno a me. Dovetti fuggire.
Ora sono qui, a Boulogne sur-Mer. L’effetto Palanirk diviene di giorno in giorno più forte: la maledizione dell’avverbio. Già riscrivere “qui” mi è più difficile che nella riga precedente.
Ecco: questo è l’ultimo “ecco” che pronuncio. Le frasi si restringono. Posso mettere in fila al.
Massimo cinque parole. Anche gli aggettivi cominciano a. Disgregarsi. Poc verbi, poc parole.
Un nuov classcism?
Mi firmo con sfrzo immnso:
Sono Serpentius Optalidon de la Roche de Belfagour, Duca della Mezzanotte.
È il momento di cominciare. A preoccuparvi.“” show_quote_icon=”yes” text_color=”#000000″ background_color=”rgba(0,0,0,0.1)” quote_icon_color=”#81d742″][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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