Un altro Belfagour

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[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][blockquote text=”Con molto piacere posto un contributo di mio fratello Maurizio. Non è mio fratello, proprio come nel Molloy di Beckett non pioveva `{`citazione coltissima`}`. Però mi piace considerarlo un fratello. Mi correggo: lo considero un fratello, da quella volta che ci siamo salutati sotto il ponte di Rialto. Inoltre, c’è qualcosa in lui che mi ricorda Seth Belavoure. Dev’essere quella faccia da impunito che non avevo, un altro modo di essere che mi ricordo. Chi con le parole che ha detto, chi con quelle che non ha detto, chi con quelle che ha cantato.
Un giorno magari prenderemo un caffè insieme, che sia a Venezia, a Roma o a Parma, o dove ci porterà il nostro oggi di solide e multiformi radici.
ps: C’è un racconto di Stephen King molto simile a questo, ma con un tono macabro che non somiglia alla trattazione grottesca scelta da Maurizio.” show_quote_icon=”yes” text_color=”#000000″ background_color=”rgba(0,0,0,0.1)” quote_icon_color=”#81d742″][vc_column_text]

 SETH

Guarda a volte il caso.

Qualche tempo fa ho incontrato pure io un Belfagour , bel tipo, un po’ stralunato, con naturale e immediato carisma, insomma uno che si nota.

Forse è un giovane zio o un vecchio cugino del tuo Serp.

Questo, pensa un po’, di nome fa Seth.

Credo sia il nome di un dio dell’antico Egitto, chissà perchè glielo hanno appioppato.

Beh, che ti devo dire, il taglia, elidi, tronca deve essere una fissa di famiglia.

L’ho conosciuto al primo congresso europeo di psicochirurgia all’Isola di San Giorgio.

Era relatore di un lavoro che si intitolava, se la memoria non mi fa difetto, “Tecniche di incremento autogeno della somatostatina e di attivazione, potenziamento e moltiplicazione dei linfociti T killer”, o qualche cosa del genere.

Illustrava come sia possibile, con adeguato ricondizionamento di aree cerebrali poco utilizzate, convincere il corpo a eliminare da solo tessuti infetti, difettosi, cancri e parassiti vari.

Le argomentazioni sono apparse subito saldamente fondate e dopo una rapida carrellata di dati, slide e filmati di casi clinici, ha concluso ricevendo, non dico una standing ovation, ma un tributo di applausi molto lusinghiero.

Nella platea pochissimi hanno palesato qualche motto di scetticismo ed io sicuramente sono stato tra i più entusiasti per il ventaglio di applicazioni che si prospettavano.

Rare volte nella mia vita sono stato conquistato con tale convinzione da una nuova idea.

Anche troppo a dirla tutta.

Eh sì, devo aver inavvertitamente urtato un interruttore nel subcosciente, forse l’ho rotto, mi è rimasta la manopolina in mano, porca miseria.

Fattosta che il primo a lasciarmi, dopo circa una settimana, è stato il mignolo destro.

Si è staccato, così, mentre tamburellavo la scrivania della sala medici in attesa che il computer, lentissimo (ASL spilorcia!), si collegasse alla rete.

Già dalla mattina pareva un po’ disarticolato e ho pensato che forse l’avevo schiacciato malamente mentre dormivo e tuttavia non sentivo alcun dolore. Boh.

Non mi ha dato particolarmente fastidio vederlo andare, d’altra parte, dimmi tu, a che serve veramente il mignolo?

Per uno come me, chitarrista classico autodidatta, meno di zero.

Capirei se suonassi il pianoforte, allora sì sarebbero guai. Certi accordi di settima o alcune scale sull’ottava più alta sarebbero impossibili. Ma, appunto, suono la chitarra.

Qualche seccatura in più l’ho avuta con l’indice che invece, per suonare la chitarra serve, eccome se serve e mica solo per quello come ben immaginerai. E poi, per poter scrivere sono stato costretto a utilizzare la sinistra.

Non che abbia incontrato particolari difficoltà.

Di mio sarei mancino, ma appena s’è manifestata questa tendenza, da scricciolo s’intende, quando si principia a colorare gli album, la mia nonna materna ha pensato bene di farmi rientrare nei ranghi convincendomi che la sinistra era la mano del Diavolo. Non pensavo di avere tanto potere, ma in ogni caso, da bravo bambino, mi adeguai.

Mi sa che ‘sta storia m’ha un po’ fregato poichè adesso ho qualche difficoltà ad associare immediatamente i termini “destra” e “sinistra” alle realtà spaziali effettivamente collocate di lato a me. Lo stesso dicasi per “est-ovest” e oriente-occidente”.

Diciamo che non sono la persona più adatta alla quale chiedere, in Campo Santa Margherita, informazioni sul percorso da fare per arrivare all’Arsenale. Inciamperei come con “trentatre trentini entrarono……..”.

Fortunatamente non ho alcun problema con alto-basso, su-giù, sotto-sopra. Peraltro non vedo come la nonna avrebbe potuto confondermi su questo fronte.

Le tre dita superstiti mi hanno invece lasciato con tutto quello che rimaneva della mano.

Il distacco è durato quasi tre giorni, lento lento, senza fretta, come i bastimenti di Conrad, che mollavano le cime e alzavano le vele scivolando languidi lungo la banchina.

Ho deciso di farmi vedere da un collega.

Ho chiamato un taxi perchè avrai già intuito che utilizzare il cambio senza la mano destra non è proprio così immediato.

Proprio mentre stavo per salire sull’auto gialla, la gamba sinistra s’è troncata appena sotto il ginocchio, ma la cosa più seccante è che il cane del giornalaio, sempre libero quel maledetto, sbucato sai tu da dove e zompato sul pezzo, ha dato una gran leccata alla pelle appena sopra il bordo del pedalino blu.

Mi sono sempre vantato di conoscere bene cani e il loro comportamento e quella lappata mi ha subito insospettito.

Spesso la gente che viene morsa ti racconta che il cane subito dopo l’attacco dà delle gran leccate interpretate come manifestazione di pentimento e accorata richiesta di scuse.

Sciocchi.

E’ un tipico atteggiamento di predazione, ti sta semplicemente assaggiando!

Difatti che fa il cane del giornalaio? Becca la gamba e scappa portandosela chissà dove.

Da quel giorno metto tutti i pezzi in una grossa cesta di plastica trasparente con coperchio blu dell’Ikea.

Da quando è iniziata questa storia, le parti che un tempo erano mie hanno deciso proseguire da sole, di andare per la loro strada, con tutta probabilità si sono stufate di me.

Nonostante il tradimento non ho comunque cuore di buttarle, ci sono affezionato e chissà che un giorno non ci sia una riconciliazione e decidano di riaccettarmi, non la gamba sinistra evidentemente.

Dicevo della cesta. E’ assai bella, e con le rotelle. Ci tenevo una passione che ho coltivato anche da adulto: il Lego.

Nella scatola c’era il puzzle di un mondo: mattoncini e serramenti, rotaie e tetti, alberi e cassette postali, ruote e omini a pezzi, tronchetti, gambette, braccine e testine, tutto regalato al figlio del nostro carissimo amico Pierpaolo.

Ah già, il dottore. Ci sono arrivato saltellando e intanto che procedevo a balzi tornavo al Campo San Boldo dei pomeriggi assolati, ore giocando a campanon con le braghette corte e le ginocchia perennemente sbucciate.

Non ha ovviamente capito un cazzo ed empatico come sono, non ho avuto cuore di farglielo notare. Diceva che era un caso visto pochissime volte nella carriera (ma quando mai?), e che sicuramente dipendeva un po’ dall’età, un po’ dalle scie chimiche o Chernobyl o gli antibiotici nel latte(e chi lo ascoltava ‘sto scemo). Mi ha anche prescritto delle vitamine, raccomandandosi di non preoccuparmi, ma guarda tu che idiota mi capita in sorte.

Insomma, del mio originale ormai non resta un gran che.

Devo scusarmi se ho impiegato un po’ di tempo per rispondere alla tua lettera. Capirai che battere la tastiera con la punta del naso non è proprio agevole, è una funzione extraevolutiva.

In verità, fino alla metà della prima pagina la punta della lingua mi ha aiutato molto, se non altro per una questione di mobilità. Adesso ha raggiunto la compagnia che già immagini.

Mi scuserai anche se, qua e là troverai qualche errore. Per qualcheduno è plausibile, data la mia età, che si tratti di vero analfabetismo di ritorno, ma voglio sperare che la maggior parte sia dovuta a difficoltà oggettiva. L’occhio di dritta infatti pencola dispettosamente, con avvitamento alternante, davanti ora a questa, ora a quella narice. Che nervi!

Potrei provare a dirottarlo scuotendo la testa come si fa uscendo dall’acqua dopo un tuffo (a proposito, ho notato che il gesto persevera anche quando diventi calvo, curioso), ma data la rapida progressione del fenomeno terrei cautamente il capo fermo, per quanto possibile.

Inutile anche soffiarci addosso col labbro inferiore proteso in avanti e di lato per indirizzare opportunamente la corrente d’aria.

Quella maledetta palla si porta subito sul lato opposto e ricomincia.

Quest’occhio yoyo mi irrita molto, ecco la ragione principale degli errori, copre la visuale dei tasti, credo di aver battuto una d e invece è una f, metto una virgola e invece stampo una m.

In più l’occhio “buono” tanto buono da diversi anni non è. L’astigmatismo lo ha ferocemente aggredito dopo i quarant’anni, come usa, e chino come sono sulla tastiera, dei caratteri stampati sui tasti riesco a malapena cogliere una macchia bianca che solo un parossistico strizzar di palpebra riesce a rendere minimamente intelligibile.

Dirai che potrei mettere un paio di occhiali e sarebbe una ragionevole obiezione se non fosse che non saprei a cosa ancorarli dal momento che le orecchie da più di una settimana sono in buona compagnia.

All’inizio rileggevo e correggevo, ora mi sono rotto, tanto capirai ugualmente.

Ora ti lascio, avrai anche tu il tuo da fare.

Se decidi finalmente di venire a trovarmi sappi che la cesta si trova sotto la panca che contorna la stufa tirolese in salotto, spero di rimediare a una vita di mani e piedi freddi.

Tuo Maurizio[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

2 comments

  • Il primo romanzo di King che ho letto è stato It, stupendo.
    E’ stato anche l’ultimo perchè dei due o tre affrontati in seguito non ho visto il termine.
    Prolissi fino alla noia.
    Pertanto non posso essere accusato di plagio e anzi, il tuo appunto gonfia il mio ego.
    Mi sento come Lando Buzzanca nel finale de “Il merlo maschio” (citazione supercoltissima).
    Mo’ ti voglio: andrò in libreria e chiederò del Molloy di Beckett alzando il sopracciglio di sufficienza a fronte del motto di ammirazione del libraio (anzi, scusa, libbbraio); tu invece dovrai descrivermi la faccia che farà il commesso del blockbuster dopo che gli avrai chiesto il vhs del Merlo maschio.

    • Il Merlo Maschio era un cazzo di film. Non mi sono praticamente accorto ci fosse ANCHE Buzzanco 😀 .
      Non ho bisogno di chiederlo al blockbuster, in quanto scaricollo anni fa, nel daunloud-reparto “filmetti zozzi”, sottocategoria “milf burrose”.

      Il Molloy è di molto noiosetto – più di King – ma ha una chiusura fenomenale. Ti consiglio di usarlo non all’interno di una libbreria, bensì con qualche pseudo-intellettuala, che automaticamente ti si offrirà a pecora, con libera scelta (tua) del pertugio d’entrata.

SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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