Capitolo 5 – Viaggi organizzati
L’unico modo per uscirne (probabilmente con le ossa rotte) era andare sul posto, ripescando l’idea scartata da Larson. Ma sul posto dove? E cercando esattamente cosa?
Il ‘dove’, nella più ottimistica delle ipotesi, comprendeva un’area di 25.000 chilometri quadrati: quanto la Lombardia. Riguardo al cosa, immaginavo di dover cercare un’altalena, o i suoi ruderi. Ammettiamo pure fosse grande, ma grande quanto? Abbastanza da essere riconoscibile come “la Grande” da chi vi abitava intorno?
Ora, se io fossi un pastore, e a 200 chilometri da me ci fosse un traliccio alto – mettiamo – 20 metri (abbiamo detto che era grande), con qualche corda penzolante e magari un seggiolino mangiucchiato dal vento, perché dovrei saperlo? Perché i miei amici che magari l’hanno vista dovrebbero eventualmente raccontarmelo? E se invece il traliccio esisteva e godeva di buona salute, come mai non venivano organizzati pellegrinaggi quotidiani verso l’ambita meta? Come mai nei depliant Valtur non ce n’era traccia?
Così mi sarei dovuto muovere da casa per cercare un’altalena in un’area estesa almeno come una regione, non particolarmente famosa per la segnaletica stradale, in cui in un intero giorno di cammino sarebbe stata una grande fortuna incontrare anche un solo viandante cui chiedere informazioni.
E rimaneva comunque il ben noto problema con le autorità locali, scarsamente interessate a lasciare vagare un turista solitario sul loro beneamato suolo patrio.
‘Ma se’ – riflettei – ‘non mi posso organizzare il viaggio da solo, forse posso accodarmi ad uno già organizzato’.
Scandagliai repentinamente la disponibilità di innumerevoli agenzie di viaggio. Strano a dirsi, nessun tour operator, neanche quelli più scalcinati o più arditi, aveva niente del tipo “gita verso zona desertica e inospitale dell’Asia centrale, inutile che vi vacciniate tanto non vi garantiamo che tornerete”. Uscendo dai vari SuperTour, DiTuttoDiPiùTour o IlPericoloE’IlMioMestiereTour, rimuginavo sulla falsità del detto economico “è la domanda che guida l’offerta”; manco per idea: l’offerta ha sempre fatto (e sempre farà) come cazzo gli pare. Era vero che probabilmente l’unica domanda su scala mondiale per simili destinazioni era rappresentata da me solo, ma la cosa non mi consolava.
Ma rimugina che ti rimugina, alla fine si accese la lampadina giusta.
A Cortina d’Ampezzo esiste un albergo molto tradizionale, molto perbene, che ha partecipato (e in parte ha fatto) la storia e il successo della perla delle Dolomiti. Sei mesi l’anno, l’Hotel Regina si avvale dei servigi del mio amico Dino, portiere di notte. Gli altri sei mesi si deve avvalere dei servigi di qualcun altro, perché Dino non c’è. E’ in giro per il mondo, a fare la guida. Non è proprio una guida tradizionale: è una guida estrema. Anche qui, non nell’accezione di moda (“venite a provare l’estremo, portate pure i vostri bambini, purché di almeno 5 anni”), ma in un senso un po’ diverso. Come quella volta che si ruppe un incisivo superiore sulle Ande, a 3.000 metri e, visto che il nervo era scoperto, lo coprì con una gomma americana. Quando finalmente riuscì a raggiungere un dentista, alla domanda da quanto tempo portasse quella medicazione di fortuna, rispose con candore: «Da sei mesi». Ecco, Dino è uno così. Negli ultimi anni si era specializzato nell’accompagnare equipe di archeologi e storici assortiti lungo la Via della Seta, pensando lui a tutto: dai cammelli ai ladri di cammelli.
Sinora non mi era proprio venuto in mente, perché non amavo la seta e non ero un archeologo, ma ciò per buona sorte non riguardava Dino.
Quando provai a chiamarlo, ebbi fortuna: era nei sei mesi di riposo, quelli da portiere di notte.
Oltre a essere una guida seria, Dino era un romantico pragmatico. Quando gli ebbi spiegato tutto, lungo i fili telecom si fece silenzio. «Che mi dici, Dino, sono pazzo?». «No, no» – rispose – «Sto solo pensando cosa posso inventarmi per far deviare la mia carovana, diciamo un ottocento chilometri più a nord». Lo amavo.
Dopo cinque mesi, ero aggregato a una squadra di studiosi italiani e olandesi in partenza per Tashkent. Dino era riuscito non so come a convincere tutti che un viaggio sulla via della seta che non passasse per Aralsk non valeva la pena di essere compiuto. Aralsk, ex porto kazako sull’ex lago d’Aral, tutto era fuorché una pietra miliare della via delle antiche carovane, ma Dino era un ottimo persuasore. Mentre gli altri avrebbero costeggiato a nord le ex rive dell’ex lago, lui mi avrebbe trovato un passaggio fino a Turgaj, 300 chilometri più a nord. Da qui avrei dovuto arrangiarmi. Ma a Turgaj avevo già una conoscenza, Ahmanov.