Freccette

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bigdartboardMi hanno regalato un bersaglio e le freccette. Era uno di quegli oggetti che ho sempre guardato con curiosità distratta, esattamente come i generatori elettrici portatili o le stufe a pellett o le racchette da squash – tanto per fare esempi – cioè appartenenti a mondi paralleli al mio, ma mai intersecantisi.

Invece ho capito che le freccette hanno il loro perché. Intanto ho scoperto a che servono tutti quegli spicchi suddivisi dalla rete metallica (spider), cioè le regole. È un gioco tutt’altro che stupido.

A che mi possono servire, le freccette? Al Gesto. Un po’ come ne Lo Zen e il tiro con l’arco di Herrigel, la parte importante non è il punteggio, ma la ricerca di un equilibrio psico-fisico interiore. Le freccette hanno un solo gesto, un’unica sequenza bio-dinamica, e questo favorisce di molto la ricerca. D’altra parte sono profondamente diverse dal tiro con l’arco (o la carabina), dove lo scopo è colpire sempre il centro. Qui no: devi avere il perfetto controllo di tutto il bersaglio, perché può servirti saper colpire ogni sua sezione. Quindi un Gesto da modulare.

Non avrei mai pensato potesse davvero interessarmi in modo profondo giocare a freccette, ma sta accadendo. Sono una super-pippa, ed è un bene perché così non posso che migliorare.

Parallelamente mi sono informato sul mondo (prevalentemente anglosassone con spruzzate olandesi) dei freccettari professionisti. Il più forte di adesso, olandese, nel 2016 ha incassato 1.860.000 dollari, che non è male. I tornei raccolgono folle non indifferenti, con platee in cui il tipo più diffuso è “ex minatore con pancia da birrette” e le femmine sono “moglie/fidanzata di ex minatore etc. etc.”. C’è un tifo da stadio ma con un’atmosfera sempre allegra. Il giocatore più forte di sempre, tale Phil Taylor di Stoke on Trent, ha un fisico che farebbe gola/disperazione a ogni ortopedico: grasso, basso, storto e con una lordosi vertebrale che gli fa una gobba da cammello. È del 1960, e a vederlo così sembra la versione british di Fantozzi, ma più male in arnese. Eppure…

In Italia siamo scarsini (perché da noi non ci sono pub, credo) e ai tornei internazionali gli anglosaxon ci rullano regolarmente. La federazione, affiliata al CONI, sta a Treviso, e nell’albo d’oro italiano dal 1984 compaiono molti triestini, goriziani, udinesi, veronesi. Sapore di casa, insomma.

Il sogno ora è il giorno in cui farò triplo venti (T20) con tutte e tre le freccette, realizzando l’ambito 180, urlando “Sono tornato!” all’ultimo lancio, come Paul Newman/Eddie Felson ne Il colore dei soldi. Parto con un indubbio vantaggio: mi chiamo Eddie anch’io.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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