
L’altro giorno ero a Venezia col grande Pipi e l’ottimo Lele e ovviamente abbiamo incontrato un altro di noi, l’ineffabile Piero (Zanon). Ciacolàda di prammatica, poi via a conoscere Diego che non avevo mai visto. Amico di Pipi, ha sciorinato per sei ore nomi e fatti dei quali avevo già sentito parlare, quando proprio non mi erano ben familiari.
Allora forse ho capito. A Venezia xe restai in tre. Ovvio che tutti sappiano tutto di tutti. Per estensione, chiunque momentaneamente si aggreghi entra a far parte degli argomenti. Dopo Tuturano (Br) è il più grande esempio di controllo sociale cui abbia mai assistito. Se ai Scalzi a Bepi ghe vien el scagoto, a Sant’Elena Toni ne viene informato in tempo reale. L’altra – indispensabile – metà del trucco consiste nel fatto che ‘sta mularìa “la prende sempre bene”. Come si dice esista una triestinità (“viva là e po bon”), senza dubbio esiste una venezianità, forse favorita dal contesto assolutamente unico di questa città, in cui sei miracolato per il semplice esserci nato. Tutti sembrano rendersi conto della loro specialità, che se te nasevi a Catanzaro iera diverso. Complici, fratelli per caso, controllori e controllati di ciò che accade sul territorio e agli altri. Ma tutti almeno con un mezzo sorriso, quando non con una ridada.
“Siamo di Venezia” (mi no, ma no importa: go quei che garantisi per mi) e a culo tutto il resto (cit.). Va ben cussì, fioi: no steme lassar indrìo.
L’ appartenenza al gruppo ristretto di “Quelli della D” ci assimila al corpo dei marines: Nessuno verrà lasciato indietro!.
Semper fidelis.