Spread e altre baggianate

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A metà degli anni ’80, in un’altra situazione economica, mi ricordo delle parole di moda sui giornali. Era l’epoca del boom di Piazza Affari, della lira pesante del Craxi, degli italiani che dalla sera alla mattina si scoprivano tutti gemelli di Micky Rourke agente di borsa in 9 settimane e mezzo.

Ora che siamo raminghi (“a remengo”, si dice dalle parti mie), le massaie appena alzate e ancora con i bigodini si precipitano a guardare com’è stamattina lo spread. Già: com’è lo spread? Monti taglia le pensioni, e lo spread va giù. Dice che però il fisco deve restituire dei soldi, e lo spread va su. La Merkel afferma che non è vero niente (non importa cosa) e lo spread va ancora su. Draghi taglia i tassi, e lo spread precipita. E avanti così; hanno chiuso il Grande Fratello per pochi ascolti: significa che gli italiani sono diventati più profondi o che nella casa non scopavano abbastanza? Non lo so; però mi chiedo che cosa farà lo spread ora che Valentino-Moana-Gloriana-RudyRubyRutty devono tornare a casa prima del tempo: per lo spread è un buon segno (va giù) o cattivo (torna su)?

Il punto – come sempre – è un altro. Come sempre, ti mostrano una cosa per nasconderne un’altra. Pare che il problema dell’Italia sia un problema di spread. Tutti a combatterlo, e la scamperemo un’altra volta. Beh, non è vero un cazzo.

Lo spread, se lo vogliamo prendere come indicatore, dobbiamo capire bene che cosa indica. E soprattutto perché. La voglio fare non corta: cortissima. Lo spread dipende dal funzionamento globale dei mercati finanziari mondiali, in particolare dal mercato secondario totalmente de-regolato, quello dove i figli scommettono senza rischi sulla morte improvvisa della madre per tumore al cervello (morirà stamattina o stasera?). In secondo luogo, lo spread dipende dalle mire egemoniche della Germania, che da circa 150 anni mira ad annettersi l’Europa.

Vi sembrano balle?

Strano a dirsi, sui giornali manca qualunque spiegazione sistemica e sistematica di cosa sta succedendo nel mondo del capitalismo finanziario. Sembra – perché così ci raccontano – che sia un problema di cococo o di sindacati o di Berlusconi. Non è stato stampato un singolo instant book sulla crisi attuale, mentre ce ne sono a dozzine sui drammi interiori di Barbara d’Urso e sull’omicidio di Melania Rea.

Eppure, girando un po’ in Rete si trovano analisi – alcune comico-complottistiche, altre lucidissime e documentate – sul perché questa crisi è diversa e più profonda delle altre e soprattutto sul perché gli attuali strumenti di politica economica sono del tutto inadatti e insufficienti a tirarci fuori. Queste analisi non sono di ieri sera, ma datano 2002, 2004, 2005, 2007, 2010 e 2011. Firmate da gente seria, tra cui qualche serio premio Nobel (Paul Krugman, Joseph Stiglitz, per esempio). Analisi che mostrano sulle serie storiche del recente passato e su sensate proiezioni per l’immediato futuro perché tutto quello che si sta facendo o si sta fingendo di fare non serve a una fava. Che non serva a una fava lo dimostra, ogni giorno, proprio lo spread. Invece, i giornali esultano perché il giorno tale lo spread è calato di 20 punti, come se fosse una tendenza. Peccato che, puntualmente, il giorno dopo risalga di 50, come è ovvio debba essere, vista l’inanità delle misure e il contesto di brevissimo respiro in cui sono concepite.

Volete cominciare a capirci qualcosa?

Bene. La prima cosa da fare è guardare, gratis in streaming su Megavideo, Inside Job . Così ci si fa un’idea delle dimensioni e cause del problema mondiale. Chi sono gli squali, chi le colombe e chi i poveri fessi. E cosa stanno facendo/non facendo le tre categorie.

Inquadrate le cose in prospettiva mondiale, si può poi passare a esaminare fuori dalle dichiarazioni ufficiali le direzioni degli interessi economici europei, in particolare di Germania e Regno Unito. Ci sono molti articoli interessanti che accendono una lampadina nella stanza buia dell’ignoranza nella quale siamo tenuti dall’informazione ufficiale.

Volete i titoli?

Un’altra volta. Ora correte a guardare Inside Job. Poi ne riparliamo.

 

Addendum: sul sito di una mia cara amica, chiamato “La Lampadina”, ho trovato il link a un’illustrazione discorsivo-poetica dei motivi finanziari della crisi, leggibile da chiunque. L’autore è il ben noto Massimo Fini, il link è questo.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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