SSN (servizio sanitario nazionale)

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Voglio parlare del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Mio fratello, medico, mi dice che il nostro SSN ora è valutato come il sesto al mondo, dopo essere stato per molti anni il secondo (dietro a chi? UK?). Il perché della retrocessione lo sanno tutti: i tagli alla spesa pubblica. Anche sesto non fa schifo, ma andiamo con ordine.
Io non parlo in teoria, ma con la cognizione della mia esperienza diretta. Non è statisticamente significativa, ma è ugualmente rilevante.

Fino a un paio di anni fa i miei contatti diretti col SSN erano stati molto saltuari. A 16 (1976) anni mi ero fatto una settimana in pneumologia, ma non avevo l’occhio del valutatore, per cui non posso dirne niente. A 20 (1980) anni mi sono fatto 34 giorni di ricovero per una brutta ustione. Già qui mi accorsi di diverse cosette.
Il reparto era retto come un regno dal primario. Tutti dipendevano da lui. Lui professionalmente non valeva un cazzo (lo sapeva tutta la città), ma aveva un aiuto molto bravo e il reparto – dal punto di vista strettamente medico – funzionava. La cosa importante da osservare è che non si muoveva foglia senza che il primario non voglia: era come una nave, dove dall’ufficiale di sala macchine al mozzo stavano tutti sotto il comandante.
Nel 2012 mi sono fatto 10 giorni in neurologia e dal punto di vista organizzativo era cambiato tutto: i medici da una parte, senza gerarchia, gli infermieri da un’altra, i tecnici da una terza. Tre categorie completamente separate. Non comanda nessuno, praticamente non c’è contatto se non nei termini della funzionalità più spiccia. Sembrava l’India delle caste o la teoria economica classica delle classi.
A cosa ha condotto questo? A un trattamento totalmente schizofrenico del paziente (pardon! “utente”). Gli infermieri hanno un livello medio di cortesia pari a un cosacco cui hai ammazzato il cavallo; i tecnici stanno in un mondo loro, del quale ovviamente si inventano le regole. I medici si aggirano negli spazi rimasti liberi e sembrano delle divinità che non vogliono toccare nulla dell’ambiente degradato che li circonda, per paura (giustificata) di sporcarsi il camicino bianco. Ah: il camice bianco ce l’hanno tutti e per capire che cosa sono devi inseguirli, acchiapparli per le spalle e girarli. I medici non hanno perso l’abitudine di ritenersi (quasi) tutti dei soloni e ti parlano con la bocca a culo di gallina. Poi arriva l’infermiere e ti fa: «Ahò! Damme er braccio che te devo da fa ‘n prelievo! E sbrighete che devo da annà ar bare». Il tecnico non ti parla: esso è scocciato che la sua macchina sia utilizzata; chi cazzo è tutta ‘sta gente che si vuol fare la Tac? Perché non se ne stanno a casa loro?
Il paziente (pardon! “utente”) non è mai trattato come una persona, ma come un segmento di procedura. Quando entri nel processo, sei fritto: devi abdicare ai tuoi diritti e prestare vene, orecchie e torace a chi  ti dà pillole e ti siringa, ti parla, ti scansiona magneticamente.

Tutto questo funziona ancora? Dal punto di vista medico – udite udite! – sì, e molto bene. Nel senso che è efficace, anche se è drammaticamente poco efficiente. Un posto letto costa 700 euro al dì, ma pare che ci tengano tantissimo che tu ne occupi uno e il più a lungo possibile. I protocolli diagnostici e terapeutici sono precisi, direi implacabili. In ogni caso, impostati con cura e sapienza.
Solo che io, valutatore di nascita e di mestiere, noto alcune cose. Il 95% delle attività protocollari potrebbe essere serenamente eseguito in day hospital. Io in pratica sono rimasto 10 giorni in neurologia per prendere pillole. Le potevo prendere a casa, e presentarmi solo per gli esami (prelievi) e i controlli (risonanze varie, tac, ecg, eeg, ecografie).
Quest’anno ho avuto una polmonite virale. Mi volevano ricoverare e tenere suppergiù una settimana (salvo complicazioni). Io ho firmato per uscire e ho fatto gli esami e la terapia all’esterno. Sono andato dal pneumologo solo per le visite specialistiche e ho continuato analisi ed esami su sua prescrizione, tornandomene a casa ogni volta. Visto che ‘sta polmonite non se ne voleva andare, capaci che mi avrebbero tenuto un mese in ospedale, contro le zero ore di ricovero che ho fatto effettivamente. Enorme risparmio di tempo mio, enorme risparmio di costi da parte del SSN.
Ma c’è ancora qualcosa che non va. A ogni cazzo di visita o esame, ho dovuto aspettare in qualche fila per almeno un’ora alla volta. Stamattina, per semplicemente ricevere il referto di fine cura, ho atteso due ore e un quarto mentre la “visita”, cioè due parole che il medico mi poteva comunicare per telefono o email o piccione viaggiatore, è durata sette minuti. Per fare un esame del sangue ho dovuto aspettare settantacinque (sette-cinque, 75) persone prima di me! Due ore di attesa, per un prelievo di due minuti. A marzo ho passato qualcosa come 20 ore in qualche fila (CUP) o sala d’attesa.
Mettiamo che l’ora di ciascun utente valga 10 euro (qualcuna ne varrà 200, qualche altra 2, ma facciamo 10 per tutti). In base a questo valore prudenziale, la sola attesa di quel giorno per gli esami del sangue è costata qualcosa come 1.500 euro. E se in fila ci fossero stati solo ambasciatori, premi nobel e Consiglieri di Stato? Quanto sarebbe costata la loro attesa? In più, c’è il costo degli accompagnatori (mamme, nonni, fidanzate…). Posso dire – prudentemente – che una sala d’attesa esami clinici brucia almeno 3.000 euro ogni mattina. Quante sale d’attesa ospedaliere ci sono a Roma? E in Italia?

Sembra che nel SSN nessuno si accorga che il tempo è denaro. Non è un modo di dire: un’ora di lavoro perso ha un costo tanto per il lavoratore che per il suo datore. Quanto brucia il SSN, in attese, ogni giorno? Si parla di CUP telefonico: non funziona se non per patologie specifiche e limitate. Le file al CUP sono chilometriche e a quanto pare i reparti di day hospital, quelli ambulatoriali e quelli di accoglienza per le visite specialistiche non sono in grado di prenotare alcunché online, in vece dell’utente. Devi camminare per l’ospedale, poi tornare al reparto con la tua impegnativa siglata. E se sei un vecchietto che a stento si regge in piedi? Ti arrangi, ti fai accompagnare da figli nipoti badanti. Tutto questo, mentre io mi vedo il Torneo dei Candidati in diretta streaming dalla Russia, con i commenti dal vivo dei grandi maestri. Sembra un mondo a due velocità, anzi lo è.

Ho preannunciato a medici e infermieri che avrei scritto questo post.  Mi hanno incoraggiato a farlo, in tutta sincerità. Evidentemente non hanno voce in capitolo, in una faccenda che li riguarda in prima persona. Chi ha voce in capitolo? Chi va – con qualche potere decisionale – a vedere come si spreca il tempo negli ospedali italiani? Chi controlla quanti letti sono occupati e perché, e se non era possibile sostituire la degenza con un day hospital? Chi monitora che gli utenti non siano trattati come mandrie in transumanza tra una sala tac e un laboratorio prelievi?
Qualcuno – sì, dico a voi – mi sa rispondere?

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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