Morti

M

In due settimane sono morti due miei compagni di gioventù.

Iapu non era quel che si dice un amico, ma piuttosto l’amico di un mio amico. Ci si vedeva “in compagnia”, 10 o anche 20 ciondolanti davanti a scuola o in gita o a una festa. Di famiglia economicamente solida, somigliava a Vin Diesel e non solo nei tratti: piegava le sbarre di ferro con le mani. Con lui non ho mai avuto un discorso serio che sia uno: era il tipico mulo de gita (ragazzo di compagnia, appunto), con una vena di follia non pericolosa e amante delle birrette. Però, nel periodo in cui ci frequentavamo con Frank (il mio amico) era uno dei tanti, forse anche un po’ più vicino. Era inconfondibile: calvo, grosso ma per nulla grasso, con perenni occhiali scuri da vista, la tendenza a parlare 10 decibel più forte del necessario. Qualcuna lo trovava estremamente sexy (confidenza raccolta in prima persona). Poteva avere tutto, a partire dall’avviato negozio di famiglia, ma la sua parabola è stata sempre in discesa. Un solitario, vittima di fantasmi che non conosco.

Morire a 56 anni sembra assurdo a tutti tranne che a me. Mio padre è morto a 55 e sono mitridatizzato – qualcuno direbbe cinico e fatalista – per cui a me non fa strano. Ma le morti altrui servono a modificare la percezione della nostra vita. Non direi che le tolgono un pezzo, quanto piuttosto lo consegnano allo scaffale di ciò che non tornerà. Come già detto a proposito di molti divi del cinema o del rock, l’addio prematuro di Iapu lo iconizza che – triste ma vero – è più di quanto si potesse aspettare lui negli ultimi tempi, da quel che mi è stato riferito.

Ciao Iapu, eri alla festa a casa mia, con Frank, Nives, Cristina e Cox: me lo ricordo.

Paolo era un mio compagno di classe. Alto e grasso, ripetente. Niente affatto stupido, con degli scopi tutti suoi che rendevano difficile fidarsi completamente di lui. Perennemente a proprio agio nonostante un aspetto poco accattivante. Anche lui di buona famiglia insopportabilmente cattolico-borghese (sono stato al funerale di suo padre: un perbenismo terrificante), ne ammiravo la capacità di saper usare le cose. Difficile da spiegare, ma ci provo: avevano una casa grande in una bella zona residenziale, ma dentro sembrava un magazzino di robivecchi. C’era un impianto stereo di prima qualità piazzato in un salotto più freddo, anonimo e scalcagnato dello studio di un dentista di periferia. Poltrone sfondate dentro, un giardino con la fontana fuori. Ammiravo che dell’apparenza non gli importasse nulla. Di Paolo ricordo questo: le sue feste, dove ero invitato automaticamente; l’insistenza premiante con le ragazze, che conquistava per stanchezza; le iniziative imprenditoriali (discoteca). Poi, come stelle nel firmamento, l’episodio del primo ascolto di Born To Run di Springsteen e di Piano Man di Billy Joel. Ripensandoci, Paolo era l’unico fra tanti a potermi fare da Virgilio in queste fondamentali scoperte. Avemmo anche un periodo bridgistico in comune, con un altro Paolo e Santi: altro sintomo del suo spirito di iniziativa e capacità di aggregazione. Per due anni giocammo tornei di bridge a coppie e a squadre, inclusa la famosa volta in cui lui e io facemmo top contro i due big del torneo (e loro fecero pot, ovviamente), giocando un picche nord-sud dove tutta la sala aveva giocato un cuori est-ovest. Del bridge ricordo anche una notte di giugno nel giardino di Paolo, con Rossella (andata anche lei) e il suo favoloso decolté.

Non ho mai inquadrato bene l’uomo, almeno mai fino in fondo. Avevo l’impressione che trattasse la vita con la stessa nonchalance riservata ai mobili di casa, ma che dalla stessa non fosse mai riuscito a ottenere quello che sognava a 20 anni. Del resto, chi ci è riuscito?

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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