In Italia, le lotterie hanno storicamente sempre avuto maggior popolarità nelle zone economicamente più svantaggiate.
All’estero, dopo la caduta del Muro, tra Varsavia e Skopje era tutto un fiorire di banchetti, per non parlare di quel che si vedeva in Asia centrale.
Mi sono fatto l’idea che le lotterie attecchiscano prima e meglio dove la gente ha pochi soldi e poche cose in cui sperare.
Già da qualche anno l’Italia sembra un enorme banchetto ininterrotto: i bar e le tabaccherie si sono organizzati con sezioni commerciali apposite e capita spesso che la clientela di queste sezioni sia più numerosa di quella colì convenuta per le attività tradizionali (caffè, sigarette…). Alle casse dei supermercati e alle edicole dei giornali ci sono impalcature che sembrano alberi di Natale, stracolme di bigliettini gratta-e-perdi suddivisi secondo i più improbabili algoritmi di scommessa.
Bene.
Ora, anche il più scalcinato giocatore di casinò sa benissimo che, qualunque sia il gioco che sceglie, scommette sempre in situazione di svantaggio, contro il banco. Nelle migliori ipotesi ha una probabilità statistica del 48%, contro il 52% del banco. Ciò significa che sul totale della giornata, del mese o dell’anno, il banco vince sempre.
Ma un’altra cosa che un giocatore di casinò sa benissimo è che il suo svantaggio è infinitamente inferiore a quello che si presenta nelle lotterie (totocalcio compreso), dove il montepremi è al massimo un terzo del totale delle puntate. In altre parole, il gestore accantona a priori il 66% come proprio profitto. Ovviamente non lo dice ai giocatori.
Attraverso quel banchetto continuo che è diventata l’Italia, lo Stato preleva il 66% delle giocate e se lo incamera. Non informa i giocatori delle condizioni statistiche delle loro scommesse. Confida – attraverso questo meccanismo di non-informazione – che questi poveretti continuino a giocare, cioè a perdere soldi (su base nazionale; qualche singolo individuo ogni tanto vince, è ovvio). Lo Stato cioè usa l’ignoranza originale e quella da lui stesso indotta tramite la non-informazione per rendere più povera la popolazione. Uno Stato “etico” promuoverebbe una campagna informativa che spiega le fregature connesse alle lotterie, esattamente come ci dice che fumare fa male. Non lo fa.
Non basta.
La quota di reddito pro-capite spesa in lotterie non avvia alcun moltiplicatore economico: è una spesa non produttiva. Come dire: io cittadino ti do’ 100 lire perché tu me ne restituisca 33, ma le altre 67 non vengono usate dal commercio, dalle imprese o dai servizi, bensì restano nelle casse dello Stato, probabilmente per coprire gli oneri finanziari del debito pubblico. Quindi con le lotterie lo Stato sottrae risorse liquide al sistema economico.
Anche questo si guarda bene dal dirlo.
Complimenti.