Quando infine partii da Akademgorodok – come si dice, cornuto e mazziato – il mio bagaglio esperienziale comprendeva tre articoli (di cui due incomprensibili e uno delirante) e la più grossa fregatura presa in vita mia. Era il bilancio di sei mesi di isolamento in mezzo al nulla: complimenti a me stesso.
Comprensibilmente, trascorsi i successivi sei mesi in Italia tra donne e champagne, per recuperare il tempo perduto. Giacché con le donne l’argomento che fa più presa non sono gli “aspetti duali nelle transizioni di fase” o le equazioni differenziali del quinto ordine, e io non avevo lo stesso stile di gallinaggio del giornalista-viaggiatore etnico, il mio di poco arricchito dossier dell’altalena riposò in pace, e così finalmente io.
Ma anche lo champagne stanca (per non parlare delle donne), quindi pian piano tornai al mio tran tran quotidiano: un viaggio di lavoro qui, uno là, ma niente di serio. Mi sentivo col cervello di nuovo a posto, e soprattutto avevo la piacevole sensazione di avere finalmente smaltito la fregatura presa.
Lo so: sono i momenti più pericolosi, e infatti fu così anche per me. Un giorno, posando lo sguardo sul dossier impilato dietro la mia scrivania, cominciai a chiedermi che cosa mi restasse a consuntivo dalla storia dell’altalena. Forse potevo ricavarne un articolo, un racconto, una nota di viaggio. Ma a chi poteva fregarne niente? E, prima ancora, che taglio avrei dovuto dare alla cosa, per attrarre eventuali lettori? Dibattuto (ma non troppo) in questi problemi di marketing strategico, lentamente cominciarono a riaffiorare alla mia mente gli aspetti più oscuri della vicenda.
Un tizio in probabile disgrazia politica e scientifica scrive un articolo delirante, ma non lo mandano in manicomio. Qualcun altro lascia traccia dell’articolo – e non degli altri due – su internet. Un gruppo di pastori/”fisici sperimentali” fa per qualche anno viaggetti di 1500 chilometri da e per Akademgorodok; probabilmente pagati dal professore, ma resta il fatto che si tratta in ogni caso di una bella distanza: non c’erano fonti di reddito più vicine? I pastori (ormai avevo deciso così: erano pastori) vengono tutti dalla stessa zona, desertica e quasi disabitata. Per tutt’altre vie, un giornalista ficcanaso sente parlare di un’altalena straordinaria. Ne sente parlare in Iran, ma da un usbeko. E – guarda caso – il confine usbeko dista non più di 600 chilometri dalle dimore dei pastori.
Il tarlo nel mio cervello, complice anche il mio troppo tempo libero, si era ripresentato. Voglio dire: fenomenale o no, altalena o meno, qualcosa, qualsiasi cosa, ci doveva pur essere stata in quella zona, no?
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La Termodinamica è una branca della Fisica classica che studia le trasformazioni di calore in lavoro e le trasformazioni inverse. I suoi principi sono stati elaborati circa a metà dell’800, essenzialmente in seguito alla crescente importanza – anche industriale – dell’uso del vapore e dei gas (macchine a vapore).
La t. studia il comportamento non di singole particelle, bensì di aggregati anche molto numerosi di queste (come le molecole di un gas).
Il punto di partenza della t. consiste nell’osservazione che, durante una trasformazione termodinamica, un sistema fisico può scambiare con l’ambiente esterno una certa quantità di calore (Q) o compiere un lavoro meccanico (L). Q e L non possono variare in maniera completamente indipendente, in quanto sono entrambi forme di energia.
Da ciò segue il primo principio della termodinamica, noto anche come principio di equivalenza tra lavoro e calore, che è il principio della conservazione dell’energia per i sistemi termodinamici.
I limiti della trasformabilità tra calore e lavoro sono specificati dal secondo principio della termodinamica, che stabilisce che il calore è una forma di energia degradata; cioè il calore, diversamente dalle altre forme di energia, non può trasformarsi integralmente in lavoro. In termini banali, ciò significa che il rendimento di una macchina termodinamica è sempre inferiore ad 1, vale a dire che essa – nel produrre lavoro – disperde energia che non può essere utilizzata.
La conseguenza pratica più importante dei due principi è che essi dimostrano l’impossibilità del moto perpetuo, ossia di poter costruire una macchina in grado di produrre più energia/lavoro di quanta ne riceva dall’esterno. Un’altalena che acceleri “più di quanto viene spinta” contraddice perciò detti principi.