Archeologia del Wing Chun

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Ogni tanto càpito su un grosso forum italiano di arti marziali. Lì, dove c’è proprio di tutto e di tutti, spesso mi imbatto in post sui lineage del WX.

Li leggo come reperti di una civiltà aliena, tanto sono distanti dal mio mondo di interessi: “Sembra che il Grande Maestro Uang Ciung Long non fosse il nipote del Grandissimo Maestro Crang Kong Meng, bensì il figlio di primo letto dell’Incommensurabile Maestro Pen Zan Tung…”…

Con occhio sociologico, osservo che molti sono avvinti dalla ricostruzione delle parentele, dei legami accademici e personali, delle vicende di gente morta da 100-200-300 anni.

Poco male, mi dico: a suo tempo assistei all’angoscioso dibattito circa la traduzione di una stele greca incompleta, dove le due possibili alternative apparivano: “…egli prese la barca e navigò lontano…” ovvero “…egli costruì la barca e decise di navigare lontano…”. C’erano studiosi che – da 30 anni o giù di lì – cercavano di dipanare il mistero dell’interpretazione “giusta”.

Quindi sono preparato a verificare che ci siano persone davvero interessate a quanto a me sembra una minchiata globale.

Del resto, io stesso ho trascorso più di qualche ora a imparare i 42 nomi di Gandalf o i 76 soprannomi di Sauron…non sto messo tanto bene neppure io, no?

Quel che non digerisco non è la ricerca fine a se stessa di particolari irrilevanti, bensì il momento in cui da tali particolari si pretende di ricavare un valore.

C’è ad esempio il dibattito sulla discendenza marziale di Yip Man. Chi era il suo primo e prediletto allievo? Leug Ting? William Cheung? Sturm Und Drang? Ping Pong Pang?

“Chi se ne frega” direte voi. Ennò! Perché, secondo la logica di chi si occupa di queste faccende, solo l’allievo prediletto ha avuto accesso a tutti i segreti del Maestro, mentre tutti gli altri sono stati lasciati soli a brancolare nel buio della propria ignoranza.

Non vi sarà sfuggito che l’investitura di un prediletto presume che ci siano dei segreti da tramandare. Il fatto a me sembra assurdo, ma in Oriente no: gli occhi a mandorla amano ornare la loro vita di orpelli di questo genere. Sono più che convinto – per poco che li conosco – che essi credono veramente che la conoscenza viene tramandata per meriti speciali. Non dico i maestri siano tutti così, ma molti senz’altro sì. Basta guardare quanto si incazzano se le loro pure discendenze e antecedenze vengono poste in dubbio.

Pragmaticamente e all’occidentale, più banalmente io mi domando chi sia più forte e chi meno, chi abbia lo stile più coerente e completo, chi sappia spiegare meglio, chi abbia gli allievi più capaci. Ma tutti questi ragionamenti non sembrano intaccare l’insieme di valori che informa gli archeologi del WX. Per questi, se hai portato le borse della spesa del maestro un centinaio di volte, hai più titolo di chi le ha portate solo occasionalmente. Se con lui ascoltavi Nilla Pizzi e i Pooh, il tuo WX è migliore di quello che col maestro ascoltava solo “Finchè la barca va” di Orietta Berti.

Sembra strano, ma non solo molti orientali ragionano così, ma ci sono persino molti occidentali che pensano allo stesso modo.

Da qui in genere nascono le “scuole tradizionali”, quelle presso le quali puoi imparare il solo e vero WX di un dato maestro, tramandato inalterato (il WX, non il mortissimo maestro) da 200 anni. La cosa dà garanzie di costanza e perseveranza nonché – dico io – di aria intrisa di polvere di mummia.

Guardando alla scelta in termini nostalgici, mi ricorda le feste di paese basate sulle ricostruzioni medievali, dove il farmacista appare vestito da araldo, il postino è agghindato come un maniscalco, il sindaco fa il milite con la balestra.

Queste scuole spesso giustificano il loro portare avanti la tradizione con l’aver avuto (/millantato) un capostipite di straripante sapienza marziale. Ecco che compare il “vero bong-sao”, il “vero fak-sao” e altri assolutismi in menù. Io, sempre all’occidentale, mi chiedo a cosa serva il vero bong-sao se non è migliore o addirittura meno efficace di un bong-sao meno vero o anche dichiaratamente falso.

Il WX – rifletto – non è come il vino: non è che invecchiando migliora.

Anche l’esaltazione a tutti i costi della tradizione dipende dal bisogno di certezze, probabilmente in contrapposizione a chi invece fonda una “nuova scuola innovativa” ogni paio d’anni. (‘che c’è qualcosa che non va pure in questo).

In sostanza.

Sapere come faceva veramente il jat-sao Yip Man non mi interessa molto. Sapere se l’ha trasmesso a Zum Bang Zung o a Hua Kuo Feng mi è del tutto indifferente. Mi interessa sapere se quel jat-sao funziona o meno, ma per saperlo devo anche vedere com’è inserito nella logica dell’intero stile. Ed è proprio qui che – in generalissimo genere – casca l’intero palco….

1 comment

  • Buongiorno a tutti, mi chiamo Valerio e sono capitato su questo blog navigando da curioso ricercatore di “laboratori” di pratica marziale, che prescindano da tutte quelle devastanti liturgie che per l’appunto, come mostrato da te Edoardo, producono il bisogno di essere figli diretti di una genealogia primaria al di fuori della quale i devoti appartenenti ravviseranno unicamente fuffa e millantatori. Il tutto naturalmente prescinde dal calzare una tecnica o un principio in una griglia di funzionalità, magari (bestemmia!) rapportandola ai giorni nostri senza il bisogno di una terminologia da cammini della seta; questo ben poco importa: l’importante è che tra abiti da pratica in raso, cinture colorate, incensi e foto sbiadite sui muri con saluti a raffica ogni volta che qualcuno starnuta, ci sia il mito evocativo dei sapori d’oriente. E ormai, reduce da diversi ambienti di pratica, queste dinamiche mi sono chiare: producono potere e acquisizione di favori. Di vario tipo e progressione… E qui mi fermo perchè immagino si possa intuire a cosa mi riferisco. La pratica di quest’arte, di ogni arte, o riverbera nella nostra vita come bellezza, in ciò che siamo e nel contesto che abitiamo, o non mi interessa più. Se debbo rimanere attaccato a icone sacrali in nome della tradizione di uno stile che nel momento stesso in cui viene ad essere portata come vessilo e gonfalone di fatto muore, mi vengono reazioni espulsive psicofisiche! Ho 47 anni e pratico arti marziali dal 1988. E pratico tutt’ora con due soli concetti che mi devono necessariamente accompagnare quali cardini (non necessariamente insieme, spesso ne basta uno a farmi trovare la voglia di cominciare a muovermi): che io trovi piacere in ciò che faccio in quell’istante e che prenda un senso in ciò che faccio nella mia giornata.
    Il resto è culto. E come dicono i ragazzi di una (abbondante)generazione avanti me “grazie, ma anche no!”.
    Con simpatia,
    Valerio

By Redazione

SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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