Dicono che la colpa originale sia di Ford, quello delle auto. Un moralizzatore vecchia maniera, che faceva da Grande Padre per i suoi operai. Fu comunque senz’altro lui a promuovere su grande scala l’american way of life per la classe operaia. Il risultato sono quelle infinità di vialetti con villette a schiera, splendidamente ritratti da David Byrne in True Stories.
L’altra componente fondamentale del quadro che produce serial killer in batteria è la Scuola americana, che nessun thriller-horror di serie B riuscirà mai a dipingere compiutamente. In queste scuole, per chi non lo sa, a mensa c’è il tavolo dei “Popular”, che fa il paio coi murales dell’ “operaio del mese” di sovietica memoria. Quelli che got it made, in genere per meriti sportivi.
Il punto è che ora quest’american way la vedo in stereo, avendo due figli dispersi, uno nelle campagne del Vermont e l’altra in un microborgo del Maine. E vedo le foto dei loro compagni e della preparazione per l’imminente Homecoming (party organizzato dalla scuola). TUTTI sorridono, sempre. I giovini hanno giacche e cravattini, le giovini degli abiti lunghi alla Rossella O’Hara, con sbuffi, rigonfiamenti, plissettature. Ci credono.
Non ho paura, per i miei figli: lui ha preso la parte di Christian Slater in Schegge di follìa, lei è un commando adattabile a qualunque situazione dietro le linee nemiche. Ma ho paura per me, per quella che riconosco come la matrice che diffonde i valori occidentali. I valori del barbecue, finché uno una mattina si sveglia storto e col mitra ne spazza una ventina davanti a scuola.
Tu non ne saresti capace. O meglio, prima passeresti per Montecitorio.