Ti vedo

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Ti vedo.
Sei nella tua bella cameretta, con un paio di librerie pavimento-soffitto alle spalle. Quella roba che andrebbe benissimo se dovessi leggere in tv il tuo Messaggio alla Nazione, così tutti vedrebbero quanto sei colto.
Hai letto tutto quello che ti sta alle spalle. Dall’ “Etica della peristalsi paracatalettica” di Humbolt von Klause Rottluff-Damiani al “Ciliegio dei corvi innamorati” di quel poeta kazako conosciuto e apprezzato solo da sua madre. E da te.
Ce l’hai nel culo, fratællo.

L’uni va bene, nel senso che gli esami li fai e li passi pure. Una laurea non si nega a nessuno, soprattutto nel dopo-riforma. Hai i tuoi crediti 25 x 9 abbasso il 4 e mi avanza 2, così ormai ci sei. Dove? Lasciamo stare.
Il problema sono i capelli. L’aria di città e quella merda che mangi ogni giorno ti stanno rendendo calvo. Assomigliare ad Ammaniti non ti consola, ma le ragazze non ci badano: come te, ormai metà dei tuoi coetanei. Per fortuna la barbetta ce l’hai, in salute e bella scura. ‘Ndo cazzo andresti, senza barbetta? Ce l’hai, sei a posto.
I soldi non sono molti, ma per fortuna molti non te ne servono. Di riffa e di raffa alzi un 500 al mese, a Natale anche un 600. Ti aspettiamo tutti al dopo l’uni, quando manderai in giro più lettere di M.me de Stael, per cercare di stabilizzarti sui 1.000.

Ti vedo. Stai mettendo su la giacca marrone a quadrettoni, quella che prevede maglietta della salute bianca sotto e maglioncino nero collo a vu sopra. Sulla maglietta c’è il logo della Turisanda, ma quello lo vedrà solo Silvia, nella penombra della sua camera da letto.
Lo sapevi che nei primi anni ’70 c’era la moda dei borselli da uomo? Li usavano i vip dell’epoca, persino Fabio Testi. Chi è Fabio Testi? Lasciamo stare. Giuliano Gemma: questo almeno te lo ricordi? Era Ringo. Anche lui aveva il suo borsello, quando non era vestito da Ringo. Beh, la notizia è che quell’affare di cotone grezzo che stai per afferrare, grigio topo, nelle funzioni ricorda i borselli anni ’70. Quel che non ti ho detto prima è che finché Testi e Gemma non presero l’abitudine, la gente diceva che era roba da froci. Ma all’epoca non si chiamavano froci, bensì invertiti. Perché te lo racconto? Non mi ricordo.
Ora sei pronto per uscire, ed è proprio quello che fai.

In strada, la consapevolezza che credevo solo mia ti afferra. Non ti strizza, non ti attanaglia, anzi: ti sorride. Consapevolezza di che? Che ce l’hai nel culo, fratællo.
Concordo che in strada è un bel casino. Sai, 40, 50 anni fa non era così, ma tu non puoi saperlo. È un casino da quando hai la capacità di intendere. E di volere? Lasciamo stare. Il fatto è che oggi come oggi nessuno, ma proprio nessuno nessuno, ti si incula. Non conti una fava. Se avessi ancora dai 3 ai 10 anni conteresti di più, perché potresti sempre pestare i piedi davanti alle vetrine dei negozi di giocattoli. Avresti un potere indiretto d’acquisto. Ma di anni ne hai 25-26-27, ed è per questo che ti sto sfibrando con la storia che ce l’hai nel culo.

Ti accompagno col pensiero in libreria, quella col baretto. Il libraio-aggiunto in prova, calabrese, è cordiale. Si fa i cazzi suoi e ascolta i tuoi, perché è consapevole che la distanza sociale che vi separa potrebbe annullarsi in un amen. È precaria, a suo danno. Tu conosci Damocle. L’amico calabrese sta solo un pochino meglio del greco, e dorme preoccupato di conseguenza.
Zia Caterina, con mamma e papà, l’anno scorso ti ha dato la possibilità di compiere Il Gesto. La zia ti ha spiaccicato un bacione sulla guancia e mormorato qualche parola d’augurio. Tu ti sei vergognato, perché il suo regalo è solo la dimostrazione da aula giudiziaria che sei un pezzente.
Così compi Il Gesto, e metti sul tavolinetto la prova da tribunale: il tuo portatile. Scusa, volevo dire il Tuo Portatile. Quello che afferra e si impossessa delle misteriose onde del
wi-fi spot. La wlan della libreria, insomma.
Se c’è segnale, cioè se quella testa di cazzo di Federico proprietario-della-libreria non ha staccato tutto per i suoi imperscrutabili motivi, il tuo mondo appare meno incerto, la tua nave vede il faro.

Tu non perdi tempo con feisbuc, che è per quelli come me. Ogni tanto ci rimedio una trombata o – ancora meglio – la speranza, la prospettiva di una trombata. Trombare è complicato, pensarci no. Tu per trombare hai Silvia, che credi essere semplicemente la tua ragazza, mentre è quella che ti tiene letteralmente a galla, povero stronzo che non sei altro. Quindi, per te niente feisbuc.

Ma devi fare in fretta, perché sei in ambiente protetto ma puoi ancora essere abbattuto dal fuoco amico. Tra poco potrebbero arrivare altri. Per esempio quelle mezze squinzie di Sociologia, che ridacchiano tutto il tempo e non ti degnano di un’occhiata, nonostante la tua montatura d’occhiali post-razionalista, che in facoltà (la tua, non la loro) è piaciuta tanto. Oppure – orrore – l’unico-che-temi-veramente: il mezzo scrittore di fiabe per bambini che però ha pubblicato, e che per di più di anni ne ha 35, la barba rossiccia molto più folta della tua, e in gioventù ha fatto pesi e si vede ancora. Summa iniuria, quando arriva lui le sociologhe ridacchiose gli occhi li alzano.
Devi corazzarti meglio, quindi sbrigati. La connessione wireless c’è.

È tutto memorizzato: segnalibro, nick, password. Si apre la pagina indice. Scorri rapidamente i tuoi ultimi messaggi: niente di che. Apri la rubrica dei contributi, e come in un film giallo si apre anche la porta della libreria ed entrano le squinzie. Devi individuare un obiettivo, uno qualsiasi, un nemico qualsiasi. Le squinzie si siedono anche stavolta senza guardarti, ma oggi sono accompagnate da un paio di coetanei tuoi, maschi. Stai sudando leggermente. Alan D. Altieri ti dichiarerebbe in “campo di tiro” e definirebbe critica la tua situazione. Devi fare presto. Ricerca bersaglio-individuazione-sparo: sai farlo e lo farai. Trovato: leggi due righe e basta, ‘che non hai tempo. Premi “quote”. Scrivi in fretta e furia qualcosa.
Che mi ricorda della tua camera, del tuo poeta kazako e del tuo borsello. Che mi riporta alle strade in cui non sei nessuno, alla tua calvizie e agli occhi di Silvia, che non meriti. Che mi racconta di quello che entrambi sappiamo: che ce l’hai nel culo, fratællo.
Ma oggi no. Oggi ti sei salvato. Hai premuto in tempo “Invio”, è comparso il tuo commento. Non te ne frega un cazzo, del tuo commento: non vale niente e l’hai appena scritto, quindi lo conosci. Quello che volevi vedere è quello che sta a destra, sotto il tuo nick.
Anche per oggi hai la tua identità, supercritico.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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