Ricordo di Mike Painter

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Mike aveva 12 anni, io un po’ di più. All’inizio, dalle sue parole si percepivano due sole cose: una assomigliava a “My wow!”, messo alla fine di ogni frase; l’altra – assai più intellegibile – “The storm”. Puntava il dito verso il cielo azzurro, e indicando qualche piccola nuvola bianca, con intonazione da esperto diceva così. Imparato il mio nome, col tempo aveva aggiunto “Ed: don’t!”. Questo perché spesso lo inseguivo con un ramo grosso e nodoso, con l’idea di fracassarglielo in testa. Quando stavo per acchiapparlo, si voltava bruscamente verso di me, alzava l’indice all’altezza del viso e con espressione indignata mi ammoniva con quel “Ed: don’t!”. Molti restavano perplessi, a vederci così, ma era il nostro gioco. Quando abbassavo il bastone Mike sorrideva, guardandomi dritto negli occhi, e io gli davo un buffetto sulla spalla.

Avevo chiesto al mio collega David, che conosceva Mike dall’anno prima, cosa fosse mai quel “My wow!”. Ma nessuno era riuscito a scoprirlo. Da ieri mi è stata offerta un’interessante possibile interpretazione dal mio team leader, british: mi ha detto che potrebbe essere qualcosa come “My words!”, cioè “secondo me”, a sottolineare con modestia la soggettività dell’opinione, o viceversa a ribadirne l’autorevolezza. Non lo saprò mai.

E venne quella famosa sera, quella in cui si aprirono i cieli della Pennsylvania. La foresta in cui stavamo nelle nostre baracche non è il posto ideale per scoprire dove cadono i fulmini, così nel bungalow c’erano quindici ragazzini terrorizzati. Qualcuno piangeva, qualcuno nascondeva la testa sotto il cuscino, qualcuno chiamava la mamma, mentre David e io cercavamo senza successo di calmarli, provando a gridare più forte dei tuoni. Quindici ragazzini nel panico, e il sedicesimo: Mike Painter. Lui saltava impazzito sul materasso del suo letto, ridendo come un ossesso e con un’espressione di pura felicità sul viso. Mi guardava, scoppiava di nuovo a ridere e mi urlava ”Ed! The storm, THE STORM!”. L’aveva invocata a lungo, era la sua tempesta, e gliela lasciammo godere come voleva.

Non ho mai più rivisto Mike Painter, e non solo perché non sono più tornato in Pennsylvania. Ma di tante persone che ho frequentato assai più a lungo di lui a stento mi ricordo il nome e di molti nemmeno il viso, mentre di Mike mi ricordo ogni espressione, ogni movimento, ogni sfumatura della voce.

Mike Painter: eravamo grandissimi amici, e per parte mia lo siamo tuttora. E fottitene il cazzo di quel che pensa la gente, in quella società di schifo in cui sei nato. L’intelligenza è una cosa, la capacità di provare sentimenti ed emozioni tutta un’altra.

Sai, mi ci è voluto del tempo per riabituarmi. Quando passi due mesi isolato in un bosco, sempre a contatto con gli stessi 186 ragazzini, certe proprietà selettive della mente vengono messe temporaneamente in quarantena. Ancora oggi faccio fatica a ricordarmi che eri down, come tutti i tuoi compagni. Ma il migliore eri tu. My wow.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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