NK-33

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Una fiaba russa, solo che non è una fiaba.

 

Negli anni ’50 e nei primi anni ’60 i russi progettavano razzi vettori sotto la guida di Korolev. Una componente ovviamente fondamentale era costituita dai motori. Gli americani per il loro razzi vettori usavano la scelta di pochi motori di grande potenza, mentre i russi preferivano ottenere la spinta con molti motori più piccoli, semplificando i problemi costruttivi e ingegneristici (uno dei motti degli ingegneri russi è: Un pezzo che non c’è non si può rompere). I tipici Saturn americani avevano 5 motori, i missili russi 30.

In entrambi i casi, la fisica dei motori dei razzi era simile: una camera di precombustione, con turbina per aumentare la pressione e gas di scarico “a perdere”, e poi una camera di combustione principale in cui la miscela supercompressa ossigeno-kerosene veniva bruciata per la reazione di spinta. Un ciclo aperto.

Per portare un uomo sulla luna, sarebbe stato necessario un modulo di rientro di almeno 100 tonnellate, il che significava un razzo di almeno 2000 tonnellate al decollo. E motori conseguentemente potenti, per consentire la necessaria accelerazione di fuga.

Poiché aumentare ancora il numero dei motori non era possibile, Korolev chiese al suo capo-ingegnere, Kuznetsov, di progettare un motore a ciclo chiuso, che riutilizzasse i gas di scarico della precombustione, aumentando così la resa.

Il progetto del motore a ciclo chiuso fu chiamato “NK-33”. Avrebbe dovuto consentire un apprezzamento di efficienza fino al 25%: un’enormità.

I russi avevano dei vincoli: economici (scarsezza di mezzi) e di tempo, in quanto la corsa allo spazio e alla luna era una gara, rappresentando una priorità politica sia del Cremino che della Casa Bianca.

Il piano di azione di Korolev prevedeva 16 lanci col nuovo tipo di motore. I primi 14 sarebbero stati senza esseri umani a bordo. Questo schema seguiva il tipico approccio russo al problema: imparare il più possibile dalle sperimentazioni pratiche. Gli americani, invece, avevano un approccio maggiormente teorico: preferivano raffinare i modelli di motori prima di metterli in sperimentazione.

Nel corso del primo lancio, il vettore sovietico decollò, percorse una cinquantina di kilometri e quindi si schiantò al suolo. Gli ingegneri cominciarono subito a provvedere alle migliorie.

Nel frattempo Korolev morì, in seguito a complicazioni durante un’operazione chirurgica di routine.

Il secondo, terzo e quarto lancio non diedero risultati pratici migliori del primo. Ma dopo ogni lancio, gli ingegneri russi si mettevano al lavoro per effettuare le migliorie che l’esito suggeriva.

Di lì a poco, il Saturn 5 americano decollò con l’Apollo 11. Gli americani avevano vinto.

Dal Cremino arrivarono due ordini: abbandonare l’intero progetto per spedire un russo sulla luna, e abbandonare le ricerche sui motori a ciclo chiuso, il progetto NK-33. Giunse anche un terzo ordine: distruggere tutti i prototipi dei nuovi motori. Così i motori furono distrutti, gli edifici abbandonati, il progetto cancellato. A Baikonur, la zona corrispondente ai banchi di prova del NK-33 fu adibita ad allevamento di maiali.

 

Nel 1992, alcuni scienziati americani furono invitati a visitare le installazioni della ricerca spaziale sovietica.

In un fuori programma, il successore di Korolev invitò gli americani in un capannone fuori Samara, dove i russi avevano fatto le loro ricerche teoriche.

Dentro al capannone, c’erano 60 motori a ciclo chiuso, mai usati né sperimentati. Erano l’ultima evoluzione dopo il quarto lancio di prova, quelli che dovevano essere distrutti, ma che Kuznetsov aveva invece fatto nascondere.

Due di questi motori furono portati negli Stati Uniti. Una volta esaminati dagli esperti, si disse che quel sistema di propulsione non poteva funzionare, esattamente come era sempre stato previsto dalla teoria motoristica dell’ingegneria spaziale americana.

Per l’esperimento di verifica, finanziato dalla NASA, furono invitati tutti gli ingegneri russi – ormai in pensione – che avevano collaborato al progetto di Korolev.

Il motore russo, rimasto incustodito in un deposito per oltre 20 anni, una volta posto sui banchi prova-motori della NASA, funzionò perfettamente, davanti agli sguardi commossi dei vecchi progettisti. L’incremento di efficienza rispetto agli attuali motori americani era del 25%. Un motore russo vecchio di 20 anni era più avanzato dei moderni motori americani, secondo la cui teoria quel motore, basato sul principio del ciclo chiuso, semplicemente non poteva esistere.

Nel 1996 partì il primo razzo americano spinto dal NK-33.

 

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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