L’Altalena (cap.3 “Wolverhampton” -1)

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Capitolo 3 – WOLVERHAMPTON

In genere le idee mi vengono ad intermittenza, ad intervalli non prefissati. Qualche giorno dopo la serata dedicata al marketing dell’altalena, improvvisamente mi ricordai di un Istituto di studi sull’Asia Centrale che aveva sede a Wolverhampton, in Inghilterra. Lo sapevo perché una mia amica ci aveva lavorato come ricercatrice, anni prima. Complice lei, mi misi in contatto con l’Istituto. Cercavo qualcuno che si occupasse di religioni, leggende e tradizioni e di un’area geografica particolare (quella dei pastori). Gli inglesi, gentilissimi, mi indirizzarono subito a chi di dovere.

Dopo un paio di mesi di e-mail, durante i quali le intestazioni dei messaggi del mio contatto principale – Mr Larson PhD – erano passate a mio beneficio da “Dear collegue” a “Dear Ed”, mi convinsi che una mia puntata a Wolverhampton poteva essere opportuna. Lì, accolto molto amichevolmente da studiosi che sembravano interessarsi a qualsiasi cosa, purché fosse targata “Asia centrale”, ebbi modo di svolgere in ottima e qualificata compagnia una serie di ricerche piuttosto interessanti.

In una settimana, scoprii diverse cose. I luoghi di provenienza dei pastori (tutti i pastori, non solo i primi tre) erano effettivamente molto vicini. Alcuni di quei villaggi ormai non esistevano più, nel senso che risultavano completamente disabitati e abbandonati da almeno vent’anni. Nella regione la religione prevalente era animista, ma di altalene sacre nessuno aveva mai sentito parlare.

Nessuno, tranne uno.

Il signor Ahmanov, una specie di corrispondente dell’Istituto, viveva a Turgaj (Kazakstan), cittadina sul fiume omonimo e nella pianura omonima, a sud del Ripiano omonimo, e aveva sentito parlare dell’altalena. Anche secondo lui non esisteva veramente, ma era una specie di modo di dire, anche se ormai non lo usava più nessuno. Una leggenda, se si vuole, che aveva poi dato vita ad un’espressione gergale. Mettendo insieme tutte le nostre informazioni, in tre ricostruimmo al telefono la faccenda, che suonava più o meno come segue.

Anticamente (quanto, non fummo in grado di stabilirlo) nella zona si era diffusa la credenza che da qualche parte esistesse una grande altalena che, se attivata, segnava il vero tempo del Mondo.

Ad udire queste parole di Ahmanov, che uscendo dal viva-voce facevano vibrare l’aria dello studio di Larson, sentii l’atmosfera della stanza farsi di ghiaccio, a mio esclusivo beneficio. Con i capelli ritti e un brivido lungo la spina dorsale, dovetti farmi una ragione del fatto che il giornalista aveva riportato il vero.

Ahmanov non riuscì ad essere più preciso su chi fosse incaricato di mettere in moto la famosa altalena, ma convenimmo che quasi certamente doveva essere il periodo del pendolo a segnare, per chi ci credeva, questo misterioso tempo assoluto. E’ chiaro che chi veniva messo in contatto con la nuova realtà scandita dai rintocchi dell’altalena diventava una specie di iniziato, e forse era in grado di capire cose che gli altri uomini non potevano capire. Ma cosa aveva dotato quella specifica altalena del suo potere? Su questo non riuscimmo ad essere più precisi: Larson suggerì che, secondo il principio animistico, forse il dio inserito ab origine nell’altalena conosceva il tempo “vero”, anziché quello percepito dagli uomini, e lo comunicava a questi attraverso le oscillazioni. La morale della cosa stava nella trascendenza del tempo rispetto alla sua percezione umana, imprecisa e difettosa: un altro modo per dirsi e convincersi di avere bisogno di qualcuno o qualcosa più in gamba di noi, che ci guida e ci sgrida.

Da quest’idea “spirituale” di altalena si era diffuso un detto che – nella versione riportata da Ahmanov – suonava circa come: <Se non sai chi sei, osserva l’altalena>. Non avevamo alcuna informazione sulla diffusione spaziale e temporale del detto. L’unica cosa certa è che era praticamente scomparso. Ahmanov stesso lo aveva sentito un paio di volte in tutto, da vecchi che lo pronunciavano senza nessun particolare sottinteso esoterico o religioso, ma proprio solo come un modo di dire.

Io ero stato zitto per la maggior parte del tempo, lasciando la palla ai due studiosi molto più esperti di me. Ma a questo punto trovai necessario ricordare a Larson e contemporaneamente raccontare ad Ahmanov la storia di Akundjanov.

Ahmanov – come prevedibile – la prese come una semplice conferma di non essersi sbagliato, punto e basta. Larson invece, da bravo occidentale, cominciò a cercare collegamenti logici tra i fatti verificati.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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