L’Altalena (cap.1 -4)

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Probabilmente l’accademico russo-siberiano si occupava anche lui di etnologia, e aveva raccolto informazioni che riguardavano un’area relativamente non troppo distante dalla cittadella-prigione in cui risiedeva. Il professor Akundjanov aveva ritenuto rilevante scrivere un articolo sull’altalena, la “potente”. Ma perché? Era la stessa di cui aveva sentito parlare il giornalista? E se no, che diavolo era? In ogni caso, si trattava di qualcosa non solo degno di investigazione, ma anche di menzione sul web.

L’innovativo motore di ricerca ci aveva assicurato che del professore – su internet – non c’erano altre tracce. Quindi non potevo né verificare i suoi interessi accademici né capire perché, di tutti i possibili articoli di Akundjanov, questo solo fosse citato. Le domande senza risposta si andavano accumulando. La cosa che mi lasciava più perplesso era proprio l’unicità della menzione: sia a proposito dell’altalena che dell’autore dell’articolo. Strano.

A questo punto avrei potuto lasciar perdere sennonché anch’io, al pari del giornalista e sia pure per ragioni diverse, disponevo di tempo da buttare. Così feci qualche altra telefonata, chiedendo un paio di favori non proprio ufficiali ad un “amico” dell’ambasciata russa. Quando ci incontrammo – sempre in maniera non troppo ufficiale – mi sottopose ad un fuoco di fila di domande, nel tipico stile russo di metterti subito a tuo agio. Apparentemente soddisfatto della natura innocente del mio interesse, mi disse che sì, effettivamente ad Akademgorodok era esistito un professore di nome Akundjanov, ma che era morto nel 1976. Si dava però il caso che non fosse un etnologo, o un sociologo, o uno studioso di religioni. Sergei Gennadovich Akundjanov era un fisico.

I russi sono russi, nel meglio e nel peggio. Prima di pensare qualsiasi altra cosa, pensano male. A volte hanno ragione, altre no, ma non è questo il punto. Il punto è che quando alla fine ritengono che non ci sia pericolo, che tu non stia attentando alla sopravvivenza della loro Rodina (La Patria), dopo aver fatto i compiti per casa te li mettono sotto al naso, orgogliosi di dimostrarti che il loro lavoro lo sanno fare. Il mio amico dell’ambasciata il suo lavoro lo sapeva fare, e bene. Così, dopo avermi dato due informazioni in tre quarti d’ora, tirò fuori da una cartelletta una bella busta gialla, di quel giallo smorto e triste che solo le tipografie russe sanno inventarsi, e me la porse ammiccando. Dentro c’era – per filo e per segno – la carriera scolastica, accademica, politica e militare di Akundjanov.

Il vecchio Sergei, di origine tagika come dimostrava il cognome, aveva studiato con Landau (probabilmente il più eminente fisico teorico russo del ‘900), specializzandosi in meccanica. Non meccanica quantistica, ma semplice meccanica razionale. Quindi era – a modo di vedere dei fisici – una specie di ingegnere di alto livello. Frequentata l’Università Lomonosov di Mosca con una borsa di studio per studenti molto promettenti (“di sicuro interesse”, riportava l’originale russo nel dossier), era stato dapprima reclutato con altri pochi eletti dal grande Landau, dopodiché era passato sotto l’ala dei militari. Nel 1960 era arrivato ad Akademgorodok, quando ormai il centro aveva perso quasi tutto il proprio prestigio. Era caduto in disgrazia? Probabile, mi fece capire il mio solerte amico funzionario. Dopo i lavori giovanili, Akundjanov aveva prodotto solo tre articoli di qualche rilievo. Il dossier ne riportava solo i titoli: “Un aspetto duale nelle transizioni di fase” (1962), “Risoluzione locale per un’equazione differenziale non integrabile del quinto ordine nel campo complesso” (1965), “La potente altalena” (1968).

Dal ’68 al ’74, anno di ritiro dall’attività, non aveva scritto altro. Era morto ad Irkutzk, dove si era trasferito al momento del pensionamento. Tra il 1960 e il ’74 non si era mai mosso da Akademgorodok. Non si era mai sposato, non aveva altri interessi di rilievo a parte il proprio lavoro. Come quasi tutti gli accademici, era iscritto al partito comunista.

Tutte queste informazioni, trasmessemi come fossero una colata d’oro fuso (e come tale da me pagate), potevano essermi utili casomai avessi voluto scrivere una biografia del professore, ma non mi aiutavano granché per la mia ricerca. L’unico aspetto rilevante era che un fisico meccanico si fosse dato pena di occuparsi di un’altalena (grande o potente che fosse). Ma a questo punto dovevo riconsiderare la fondatezza della mia ipotesi di lavoro, cioè che si stesse parlando della stessa altalena. Senza l’articolo di Akundjanov, non avevo modo di controllare se l’emigrato usbeko e il promettente studente di Landau si riferissero al medesimo fenomeno. Ero ad un punto morto. Avevo già notato che Akundjanov lavorava non troppo distante dalle regioni della leggenda, ma “non troppo distante” nella fattispecie significava comunque 2500 chilometri, e il professore in 14 anni non si era mai mosso dalla città chiusa. Se si trattava della stessa altalena, come avrebbe potuto approfondire la propria ricerca, stando a tale distanza dall’oggetto del suo interesse?

Era necessario trovare l’articolo, senza il quale ogni teoria e associazione sarebbe stata campata in aria o – peggio – sarebbe valsa quanto il suo esatto opposto.

Ma ne valeva la pena? Valeva la pena di sbattersi per soddisfare una curiosità puramente estetica? Decisi senz’altro di no, sebbene l’abbandonare un’indagine così intrigante mi costasse un po’ di fastidio. Si trattava pur sempre di altalene.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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