L’Altalena (cap.1 -2)

L

Finito il racconto dell’altalena, il Provetto Viaggiatore pescò da un altro cassetto del suo repertorio, e io trovai improvvisamente che si era fatto tardi.

Tornando a casa, mi vedevo davanti agli occhi quell’altalena fuori scala e capivo che, se proprio non mi avrebbe tenuto sveglio quella notte, l’immagine aveva comunque trovato stabile ricetto in qualche parte della mia memoria latente, preparandosi a risaltare fuori, prima o poi.

Ora so che sarebbe stato meglio non fosse andata così. E so anche che il sapientone non era poi uno sciocco. No: era un cretino integrale, come chi parla di cose che non sa, che farebbe meglio a non sapere, e che soprattutto farebbe bene a non nominare.

Qualche mese dopo quella serata, mi trovai a portare ai giardini pubblici il mio nipotino di tre anni. Naturalmente volle andare sull’altalena (quella con le catene, l’unico tipo ormai sopravvissuto a decenni sciagurati di ministri della salute e direttive comunitarie). E naturalmente, vedendo e toccando quel particolare pendolo, mi tornò in mente la storia sentita sulla sua misteriosa sorella maggiore. Improvvisamente mi risentivo stuzzicato, sfrucugliato, solleticato. Volevo saperne di più.

Quella sera iniziai una ricerca su internet, per vedere se trovavo qualche sito che ne parlasse. Sul web c’erano molte altalene, anche “grandi”. Perlopiù si riferivano ad arredamenti da giardino o a parchi giochi più o meno acquatici. Dopo molte foto di bambini sorridenti che dondolavano su costruzioni lignee o metalliche variamente combinate con sfondi di prati e alberi, improvvisamente eccolo: alla sesta pagina di Google, si materializzò un link verso una Grande Altalena che nulla aveva a che fare con le precedenti.

Click. La pagina bianca lentamente si riempì delle guglie del Wat Suthat, un tempio buddista. Poi apparve il mostro che dava il nome al tempio: alto almeno 20 metri, di tek rosso. La didascalia diceva che la suthat (“grande altalena”, appunto) veniva usata fino alla fine dell’800 per ringraziamenti rituali al dio Brama. L’oggetto assomigliava piuttosto ad una porta immensa, perché delle aste e del seggiolino non c’era più traccia. Stava su un piedistallo circolare in mezzo ad una piazza di Bangkok, e l’omino posto per confronto dimensionale sotto di essa praticamente spariva, al cospetto degli altissimi montanti. Notevole, davvero.

Avevo trovato la fonte di ispirazione del grande viaggiatore: il misterioso gioco rituale, che a suo dire segnava il tempo del mondo.

Finalmente soddisfatto, dopo un po’ andai a riscuotere il sonno del giusto. Ma non dormii tranquillo, svegliandomi l’indomani addirittura in preda ad una specie di malumore. Se la notte di solito porta consiglio, a me invece aveva portato dei dubbi, che l’inconscio aveva elaborato e apparecchiato a mo’ di colazione mattutina.

Innanzitutto mi sentivo deluso. Forse avevo trovato troppo presto quello che stavo cercando, perché potessi assaporare veramente la mia “conquista esperienziale” (come l’avrebbe senz’altro definita l’Esploratore). Ma c’era dell’altro. Sin dall’inizio avevo immaginato la grande altalena a somiglianza delle sorelle minori di Piazzale Rosmini, e invece si rivelava qualcosa di completamente diverso. Meno cupo, meno misterioso, meno essenziale. Tek rosso: mah!

L’architettura thai – probabilmente perché non sapevo interpretarla – mi appariva leziosa e ambigua: quel gigantesco “coso” poteva essere una porta, un simulacro, un campanile….invece era un’altalena, ma quasi per caso. L’altro aspetto indigeribile era che l’oggetto non se ne stava nascosto su di una montagna inaccessibile, o nel profondo di una valle solitaria, bensì trovava solare ospitalità nel centro di una città di 10 milioni di abitanti. Se confrontavo il ritrovamento virtuale con le parole sapientemente elargite dal viaggiatore, e la mia successiva domanda, e la sua successiva risposta, qualcosa non mi tornava. Il celebre esploratore si era rammaricato di non averla mai vista, l’altalena, e affermava addirittura che nessuno l’aveva più vista da molti anni. Ma come? Un’altalena piazzata nel centro di Bangkok, pubblicizzata su internet da decine di siti turistici? Come si poteva non vederla? Bastava un viaggio organizzato dal dopolavoro delle Poste, ed ecco a voi il mistico simulacro, prego mettersi in posa per foto artistica…

No, non quadrava. Era possibilissimo che a non quadrare fosse la buona fede del galletto ma – riflettei – sebbene questi mi fosse sembrato vacuo, non poteva essere tanto stupido. Perché avrebbe dovuto rischiare di essere smascherato, quando era più che probabile che qualcuna delle sue prede fosse già andata in vacanza in Thailandia? Proprio non quadrava. Lui aveva parlato in modo misterioso di un oggetto misterioso, non di un monumento cittadino.

Il profeta dei giochi simbolici doveva intendere un’altra altalena, rispetto a quella che avevo trovato io. In giro ci dovevano essere almeno due superaltalene.

Appena bevuto il caffè, riaccesi l’ordinateur e mi reinserii in Google, stavolta partendo direttamente da pagina 7. A pagina 20 mi stufai: la seconda grande altalena proteggeva la propria privacy meglio della prima.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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