Il Serpente – Wing chun

I

Ai fini di un wing chun corretto, è molto utile osservare il modo di muoversi di un serpente (o, alternativamente, delle “seppie di Matrix” in gruppo). Quasi altrettanto bene va il movimento di una frusta o di un asciugamano tenuto per un lembo, ma rispetto al serpente la frusta o l’asciugamano 1) non hanno alcuna indipendenza dall’input iniziale, 2) non hanno una struttura muscolare interna che possa fare da motore. Quindi preferiamo l’analogia del serpente, ma teniamo in mente anche la trasmissione “automatica” del moto in una frusta.

Due sono i punti da sottolineare: a) la continuità e fluidità del movimento, b) l’assenza di “punti di rigidità”.

Immaginiamo l’esperimento di avere davanti un serpente ritto, poggiato sulla coda. Un cobra, per esempio. Si può già notare che non sta perfettamente verticale, ma bilancia il peso della testa con un arco lungo il corpo. La sua testa ha già, in posizione di immobilità, una “propensione” verso l’avanti o l’indietro. Se avviciniamo la punta di un bastone al suo corpo, il serpente non arretrerà in solido, ma ritrarrà solo quella parte minacciata dal bastone, riequilibrando il resto del corpo in funzione della nuova distribuzione dei pesi.

Il movimento di ritrarsi e re-distribuirsi avviene senza scatti e passando per continui punti di equilibrio (dinamici): agisce cioè con continuità e fluidità.

Se l’animale è abbastanza lungo (ora sto pensando a un boa constrictor) e se avviciniamo la punta di un secondo bastone, il serpente conserverà lo stesso movimento che dipende dal primo bastone e vi aggiungerà un’ulteriore curvatura a causa del secondo. Rimarrà continuo e fluido.

E rimarrà anche del tutto non rigido: riuscendo a toccarlo, solo la parte interessata arretrerà o avanzerà, lasciando totale indipendenza alle altre (salvo esigenze di riequilibrio complessivo). Non offrirà cioè superfici sulle quali possiamo spingere, fare pressione, causando l’arretramento in solido di tutta una sua ampia sezione di corpo.

Se si esaminasse la funzione “posizione del corpo rispetto a un asse” del serpente, determinata da un certo numero di sensori posti a diverse altezze lungo il suo corpo, si vedrebbe che il movimento dei sensori non ha discontinuità: le tracce del movimento – su un grafico, ad esempio – sarebbero continue in senso tecnico (la derivata della curva sarebbe anch’essa continua).

Rispetto a un serpente, l’essere umano ha solo 5 snodi principali: caviglie, ginocchia, attaccatura del femore, vita, collo. Le sue possibilità di gestione di pieni/vuoti e di trasmissione del movimento lungo l’asse verticale sono perciò molto più limitate.

È molto importante imparare a gestire il corpo attraverso i cinque snodi, allenandoli a trasmettere il movimento dal basso in alto e viceversa e badando con estrema attenzione a non bloccare uno snodo rispetto agli altri (irrigidimento).

Dei cinque snodi, per fortuna un paio agiscono già abbastanza automaticamente (e bene) da soli: caviglie e attaccatura delle gambe al femore. Questo perché l’atto del camminare ci ha abituato a gestirli inconsciamente con la necessaria fluidità.

Ci si può quindi concentrare sulle ginocchia, la vita e il collo.

Si era già detto altrove e in precedenza che la vita (la fascia addominale) serve da cardine/cerniera tra la parte superiore e quella inferiore e che la direzione del movimento è diretta dalla testa.

Ora possiamo essere un po’ più precisi e completi: la fascia addominale trasmette il movimento della e alla zona più importante del corpo, il busto. Questo è la parte più ingombrante e pesante (nonché delicata, in quanto bersaglio ben visibile). Il busto – inoltre – proprio per le sue dimensioni e peso deve avere anche certa capacità di torsione lungo la spina dorsale (in modo da non bloccare le spalle): quindi anche questo movimento va allenato, indipendentemente dalla “catena di trasmissione verticale”.

 

Riassumendo. La gestione del corpo serve al vuoto e alla finalità. Il corpo umano ha dei limiti intrinseci molto più vincolanti rispetto a un serpente, circa la flessibilità. Rispetto al vuoto, si deve perciò allenare con attenzione l’uso degli snodi (3 in particolare) perché il movimento si trasmetta correttamente attraverso la catena cinetica, con fluidità e senza irrigidimenti. Come in un frusta, il caricamento di uno snodo fornisce energia potenziale che per mezzo della trasmissione può essere scaricata da un’altra parte. Lo “scarico” dell’energia è determinato dalla scelta della finalità.

La finalità si trova pertanto un’ “eredità” di energia derivante dal movimento di vuoto. Questo fornisce un legame non solo teorico, ma fortemente operativo, alla connessione vuoto-finalità.

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Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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