Il declino dell’Impero d’Occidente: Poste e Call Center

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L’esempio di solito si fa sui treni: …nel 1911 per andare da Roma a Milano in treno ci si mettevano 2 ore e 23 minuti, nel 2012 ci vogliono 64 ore e 97 minuti…: ah! i bei tempi andati.

Ma noi, con il medesimo spirito critico, osserviamo invece cosa succede con le Poste e i Call Center.

Usare le Poste Italiane equivale – oggi – al gioco del poker via internet: un rischio calcolato o, meglio, da calcolare attentamente.

Molti non sanno e invece dovrebbero sapere che le Poste non fanno tutto in proprio: molta roba spedita tramite Poste viaggia attraverso corrieri privati. La cosa divertente (si fa per dire) è che Poste non ha alcun controllo su questa fase (che è il 90% del lavoro di spedizione/ricezione). Come dire: prendo il pacco del mio cliente (di Poste), lo do a Bartolini che lo porta all’ufficio postale di ricevimento (sempre di Poste), dove il destinatario lo va a ritirare in seguito all’avviso di Poste.

Ebbene, tutto potrebbe funzionare anche così, solo che non funziona. Tra la spedizione e la ricezione Poste non sa nulla, non ha nessuna informazione. Se Bartolini brucia il pacco, Poste non ne è al corrente. Ma l’assurdo ancora peggiore è un altro: l’avviso per il destinatario non viene mandato quando il pacco giace nell’ufficio di ricevimento. No: troppo facile! Viene invece mandato quando Poste “ipotizza” che il pacco ….beh! sì, in effetti…dovrebbe arrivare. Quindi capita che tu vai all’ufficio di Poste e il pacco ancora non c’è. A volte, non ci sarà mai.

So aspettando il PIN di una carta di credito da due mesi. So già che non arriverà mai, anche perché dopo un po’ “per ragioni di sicurezza” la carta senza PIN viene annullata, e si ricomincia da capo.

Cosa si fa, quando una carta di credito o il PIN non arrivano nei tempi promessi?

Si telefona al Call Center.

E qui siamo nei gironi danteschi dell’Inferno più profondo.

Non ho nulla contro i ggiovani. Sono stato ggiovane anch’io (almeno, credo). So che i ggiovani hanno problemi di lavoro e che si arrabattano a fare tutto quello che è disponibile. Molti finiscono nei Call Center.

Credo – non lo so, ma lo trovo plausibile – che il corso di addestramento dei ggiovani nei Call Center duri 12 minuti, dopodiché vengono spediti, cuffie all’orecchio, a rispondere alle domande più improbabili e difficili, supportati da un supervisione di esperienza (6 mesi di esperienza, forse) che appunto è uno ogni 38mila telefonisti del center.

I ggiovani risponditori dei Call Center sono accomunati da alcuni tipici tratti: disperati di loro, incazzati come bisce perché laureati in lettere moderne o in Storia della pallacanestro e invece gli tocca stare al Call Center, con una preparazione specifica sull’argomento che assomma ai 12 minuti di cui sopra.

I colloqui con un operatore di Call Center sono kafkiani:

– “…lei dice di non essere competente per rispondere alla mia domanda sulla carta di credito: allora mi faccia parlare con qualcuno che lo è”

– “Sono io”

“Mi ha appena detto di non essere competene”

– “Delle carte di credito mi occupo io”.

Il muro di gomma instaurato dal filtro dei Call Center è mille volte peggiore dei famosi telefoni di help desk delle amministrazioni pubbliche: telefoni situati in stanze vuote, spesso chiuse a chiave. Lì non ti risponde nessuno e buonanotte: sai di non aver raggiunto alcun obiettivo; nei Call Center invece qualcuno ti risponde, solo che a) non capisce mai un cazzo di quello che gli domandi, b) non riesce a risolvere niente, c) ti risponde pure male (l’educazione dei ggiovani è molto approssimativa, in diminuzione).

Il massimo e il meglio che i callcenteristi riescono a fare è dire “Proviamo a fare così: …”. Dopodiché tu speri che quel provare porti a qualcosa. No. Dopo un mese devi richiamare, stando al punto di partenza e con un mese di vita in meno.

Io da 6 mesi chiamo i Call Center dell’INPS, che non sanno neanche di che gli sto parlando: eppure il numero è quello. Chiamo i Call Center di Fastweb, dove 3 operatori mi dicono 3 cose diverse e incompatibili l’una con l’altra. Chiamo i Call Center di UniCredit, dove gli operatori mi dicono tutti una cosa sola: che per attivare una carta di credito devo semplicemente prendere un treno e andare da Roma a Trieste.

Naturalmente, in tutto questo, c’è una sola verità. Anzi due, anzi tre.

Primo: i servizi telematici funzionano a cazzo. Li hanno messi perché siamo nell’epoca della globalizzazione informatica eccetera eccetera, ma averli messi non significa che debbano anche funzionare.

Secondo: il muro di gomma si è evoluto nelle tecniche e nei modi, rendendosi ancora più funzionale e pervasivo (tutte le società, pubbliche e private, hanno il loro bravo Call Center). Ciò si accompagna alla chiusura degli uffici di quartiere: una volta andavi all’ufficio SIP o ENEL, prendevi il numeretto e in mezza giornata risolvevi, ora questi uffici sono diventati negozi di scarpe o di computer.

Terzo: la responsabilità della disfunzione del servizio non è mai di nessuno, nel senso che non la puoi ricostruire. I Call Center non sono responsabili di nulla, ma con l’ufficio responsabile non si può parlare, perché è “dietro” il Call Center attraverso il quale devi comunque passare. (Ho perso 3 mesi prima di riuscire a riattivare una linea telefonica Fastweb, perché l’ufficio responsabile dell’interruzione del servizio non era contattabile in alcun modo, neanche dal Call Center).

Se vedi un numero di telefono di assistenza tecnica, non pensare di essere protetto: è una trappola per topi.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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