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[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]Era una di quelle “cose da fare prima di morire“, come passeggiare per Copacabana o visitare i fiordi. Così l’ho fatta, contento di aver coinvolto anche mio figlio. Seconda fila, al centro: posto da ricchi.
L’auditorium pieno ma non pienissimo, complici i prezzi e soprattutto il lunedì di pasquetta (un’altra data no, eh? ma lo dico per gli organizzatori: fossimo stati in dieci sarei stato più contento). In ordine inverso di apparizione, e diretto di importanza: Satriani, Petrucci, Roth. Chiaro che non è la stessa cosa che Satriani, Vai, Malmsteen, ma questo passava il convento. Chiariamo un’altra cosa: a me questa musica non piace. Io amo profondamente un altro tipo di chitarra elettrica: quella dei sentimenti. Knopfler, Verlaine, Prince, Hunter (Steve, non Ian), Lofgren, al limite Slash, certamente Clapton, qualche volta Gilmour, sempre Akkerman…: gente che attraverso il suono racconta storie, non che è lì per farti vedere quanto è brava. Invece questi sono mostri tecnici, ma con poco o nulla cuore.
La platea comprendeva un sacco di metallari, credo causa Roth: dai 30 ai 70, francamente ridicoli negli atteggiamenti impostati “sono un metallaro e pretendo che si veda”. Sono sempre stato contro le divise, ma so che il mondo è popolato da gente che ha un disperato bisogno di riconoscersi in qualcosa.
Roth dice di avere 64 anni, ma se poi si scopre che sono 75 non mi stupirei. Look patetico davvero, tutto fasciato di nero che anche uno di 25 anni si sarebbe sentito in imbarazzo. Spesso imbarazzante anche nel suono: diverse stecche, diverse battute a vuoto; la prossima volta entrerà in carrozzina. Tecnici del suono che fanno quello che possono, ma lui imperterrito a fare il ggiovane con una chitarra iperamplificata e superdistorta, con più bottoni, manopole e lucine di un caccia militare. Bravo invece il suo secondo, che mi hanno detto ex cantante di Malmsteen anche se somiglia a Vai da giovane. La musica latita: non esistono pause, ma solo tre quarti d’ora di rumore continuo da tre chitarre, un basso, una tastiera e una batteria. Sembrava Metal Machine Music di Lou Reed.
Petrucci già un’altra cosa: lui, il basso e un batterista che si divertiva davvero. E con lui (Petrucci) l’unico momento di vera musica della serata: The Happy Song. Ma allora… allora sanno anche fare musica, con la melodia e tutto! La cosa più stupefacente è che anche la platea di metallari ha dato il giusto riconoscimento al pezzo. Ma allora mi spiegate PERCHÉ, se anche a voi piace la melodia e la sapete distinguere dal puro rumore, vi ostinate ad ascoltare i yeooooowwww, uooooaaaaaaaaaaa, wiiiiiiiieeeeennnn?
Satriani bravo, lo si sapeva. Quel che non sapevo io è che è un vero folletto, molto comunicativo e coinvolgente, che sa stare sul palco come pochi. Un intrattenitore nato.
La jam session finale: piacevole, con Satriani che sa pure fare un passo indietro, prestando la chitarra al sosia di Vai (cioè il secondo di Roth) e restando a battere il tempo con un tamburello, seminascosto dietro le casse. Un regista, un deus ex machina.
Lo dovevo fare e l’ho fatto. Sono contento di averlo fatto, ma basta così. Ho avuto a 5 metri l’uomo con gli occhiali da sole capace di If I Could Fly e di vincere la causa contro i Coldplay, ora pensiamo a Copacabana.[/vc_column_text][vc_separator type=”transparent” up=”10″ down=”10″][vc_video link=”https://youtu.be/eU7hz1VVjvw” title=”Joe Satriani – If I could fly”][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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