C’è qualcosa che non va

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C’è qualcosa che non va.

È noto che le aziende in salute sono perennemente indebitate. Questo è considerato economicamente positivo, perché l’astuto ragionamento è “se l’azienda fa profitti, significa che nel bilancio globale un suo euro ne produce 1,2 (o più), quindi ogni euro che prende in prestito frutterà un avanzo”. Sembra strano ai più, ma è più o meno quel che succede davvero. La cosa si complica alquanto quando l’azienda smette di fare profitti, ma lasciamo all’intuito le ovvie conclusioni.

E passiamo al debito pubblico. Lo Stato si indebita per moltissime ragioni, alcune delle quali sociali. Ipotizziamo uno Stato “chiuso”, o uno Stato mondiale (che per il ragionamento è uguale). Il ragionamento è “i miei (dello Stato) investimenti produrranno infrastrutture e servizi che faciliteranno lo sviluppo economico dei privati. Il valore aggiunto delle loro attività produrrà un aumento dei miei introiti fiscali, con i quali ripagherò il mio debito”. Ecco, anche qui nulla da eccepire sul piano teorico, ma le cose scricchiolano su quello pratico, perché cominciano a esserci un po’ troppe variabili fuori controllo, un po’ troppe ipotesi che devono prendere la giusta strada. Quanto avviene in pratica è che il debito dello Stato in genere continua ad aumentare, innanzitutto perché molti dei suoi investimenti sono tutt’altro che produttivi.

Se poi “apriamo” il debito al prestito estero (niente più Stato chiuso, com’è in realtà), cominciano i cazzi veri. Perché mentre all’interno del Paese ti puoi inventare qualcosa tipo fare altri debiti per pagare quelli vecchi, o una bella inflazione programmata che azzera il debito stesso, coi barbari alle porte, detentori di parte del tuo debito, non funziona così bene. Qui entra in gioco il rischio sintetizzato dal famoso spread, per cui i barbari vogliono indietro i soldi e poi scompaiono.

Ma il punto è un altro. Tutto il denaro drenato dai titoli di Stato, se non finisce in investimenti produttivi, provoca una carenza di liquidità per i medesimi. Quindi il denaro diventa più costoso (banche) e rallenta il famoso sviluppo che doveva produrre più tasse e il famoso ripianamento del debito. Tutto è fermo, le aziende non investono, le imposte non aumentano, ci sono solo gli interessi sul debito.

Il bel ragionamento di principio, da teoria economica del mulino bianco, sbatte il muso contro i fatti che da sempre sono sempre quelli.

Leggo sul Corriere di oggi: in 20 anni, interessi sul debito (italiano) per 1.650 miliardi di euro. Ecco, appunto: 1.650 miliardi sostanzialmente tolti al mercato e immessi non si sa bene dove, con quale produttività, con quali scopi.

C’è qualcosa che non va.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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