S.O.S. METEORE

S.O.S. METEORE

Prima parte

In un pomeriggio di fine ottobre 1964 stavo disteso sul tappeto di camera nostra, con mio fratello. Stavamo guardando (non sapevamo ancora leggere) un Topolino (il numero era “Paperino 3D” – Albi della Rosa). Tra parentesi, una storia avvincente: da una serie di televisori speciali escono dei Paperino armati, che invadono la città e vengono fronteggiati dall’esercito, prima di scomparire com’erano comparsi.

In una pagina di pubblicità del giornalino la nostra attenzione fu attirata dal disegno di quello che pareva un fantasma nero.

Ad un certo punto, nella stanza entrarono nostro padre e nostra madre. Chiedemmo loro di comprarci il giornaletto pubblicizzato dal fantasma.

Una settimana dopo tenevamo tra le mani “S.O.S. Meteore” – Classici dell’Audacia.

Sfogliandolo, rimanemmo parecchio delusi: per prima cosa – non sapendo leggere – non capivamo niente della storia, in secondo luogo il “fantasma” era relegato in poche vignette e non sembrava assumere un ruolo di alcun rilievo.

Ben presto abbandonammo il Classico dell’Audacia, che poi andò smarrito nel trasloco di famiglia tra Trieste e Venezia.

 

Seconda parte

In prima media (1970), a casa di un mio compagno di classe (Paolo Piazza) vidi una copia di S.O.S. Meteore, e me la feci prestare.

Quella sera, disteso nel mio letto, finalmente ebbi modo di leggere quella storia. Scoprii che i protagonisti erano un certo professor Mortimer e il capitano Blake e che la storia era di fantascienza politica.

La storia era avvincente (più che “Paperino 3D”), ma quello che davvero mi catturò furono i disegni. L’autore di testo e illustrazioni era un certo Edgar P. Jacobs. Soprattutto nella prima parte, quella in cui Mortimer indaga per proprio conto camminando sulle strade bagnate di pioggia della provincia francese, mi apparvero straordinariamente ben eseguite. Non solo: evocavano un’atmosfera particolare, malinconica e lenta, adatta alle rilessioni pacate e alle analisi puntuali del professore, che trovai estremamente adatta a me.

Lessi la storia ogni sera, per una settimana. Poi decisi che non avrei restituito S.O.S. Meteore a Paolo, che in effetti sembrò essersi dimenticato di avermelo prestato.

Da quel giorno, divenne il pezzo più importante della mia biblioteca (il che vale anche adesso).

 

Terza parte

A 20 anni – era il 1979 – ero a Parigi con un altro amico Paolo. Stavamo su un treno fermo alla Gare de Lyon, che ci avrebbe portato a Calais, destinazione Londra.

All’improvviso, pensai che potevo fare un tentativo: scesi dal treno e andai a comprare una cartina della Banlieu. Tornato sul treno la aprii. E rimasi fulminato.

Tutti le indicazioni topografiche nominate nell’indagine di Mortimer esistevano realmente, e stavano tra Parigi e i dintorni di Versailles. Così dissi a Paolo: “Ora andiamo pure in Scozia, ma io tra una settimana torno qui e mi metto a cercare questi posti”.

Così facemo il nostro viaggio alle Orcadi, dopodiché tornammo a Parigi e trovammo un alberghetto.

Comprai una copia – in francese – di S.O.S. Meteore e con quella, la mappa della Banlieu e Paolo al seguito presi il treno per Versailles. Il fumetto diceva che Mortimer era sceso a Versailles-Rive Gauche, e così facemmo noi.

Ripercorremmo, fumetto in una mano e cartina nell’altra, i chilometri che Mortimer aveva fatto in taxi, fino a Buc. Lì, dietro una curva della strada, ci sarebbero dovuti essere “I Portici” (Les Arcades). C’erano. Non solo: erano esattamente come nei disegni, così come ogni indicazione stradale, ogni marciapiede, ogni casa, ogni strada, ogni cavalcavia, ogni attraversamento ferroviario.

Con tutta evidenza, prima di disegnare la sua storia, E.P. Jacobs doveva aver scattato centinia di fotografie, per poi riprodurle fedelmente nel disegno.

Così percorremmo le vie a me note e passammo per i villaggi di cui sapevo il nome da molti anni.

Chemin de Vauptain, Petit Jouy, Les Loges en Josas, Jouy en Josas, Toussus le Noble, Saclay, fino a Massy-Palaiseau.

Nell’iconografia del racconto, c’erano due posti speciali: il laghetto delle Ginestre e la villa in cui aveva sede il quartier generale dei cattivi.

Trovammo entrambi. Il ponte sul laghetto aveva la stessa ringhiera che nel disegno, al millimetro. La villa era un “Internat”, con lo stesso cancello in ferro battuto e le medesime decorazioni metalliche alle finestre di S.O.S. Meteore. Il cancello era chiuso. Io ero comunque incantato.

 

La sera, tornati in albergo, mi accorsi di aver perso il mio portafortuna dell’epoca, un pesetto di ottone (da me detto “il pirolo”). Poco male: ne avrei lasciati un centinaio, in cambio di quanto avevo avuto quel giorno.

Il giorno dopo restammo a Parigi, a fare i turisti, e Paolo cominciò a sentirsi non troppo bene, come per un’influenza estiva. Così, due giorni dopo era a letto e io ne approfittai per riprendere il treno per Versailles-Rive Gauche: un giro non mi era bastato.

Devo dire che fui sorpreso quando, sul paletto di una recinzione nei pressi del lago delle Ginestre, ritrovai per puro caso il mio portafortuna? No. Era tutto talmente magico, che mi sembrò quasi ovvio dovesse accadere.

 

Quarta parte

Nel 1986 passai il capodanno a Parigi, con la mia fidanzata dell’epoca (Stefania-quanti-ricordi) e una masnada di 20 persone, tra cui mia madre (!). Partiti alfine tutti tranne me – che peraltro, essendo all’epoca militare, non avevo avvertito il mio comando della mia intenzione di andare all’estero, cosa per cui sarebbe servito un permesso specifico – e rimasto quindi solo a Parigi per 4-5 giorni, decisi di fare un “terzo giro”.

Rividi quasi con lo stesso piacere della prima – insuperabile – volta i luoghi ormai ben noti, in cui però qualcosa stava cambiando. Nuove costruzioni, vecchi edifici che non c’erano più, un’aria generale di sviluppo urbanistico che lentamente portava la realtà più lontano da S.O.S. Meteore.

Però questa volta il cancello dell’Internat era aperto.

Vi entrai senza chiedere il permesso a nessuno. C’era un giardino, o meglio un bosco, che conteneva statue stranissime. Piccole creature alate di suggestione egizia su alte e incongrue colonne, animali mitologici seminascosti nel sottobosco, stele con simboli strani (esoterici?) poste o forse abbandonate a casaccio. Di tutto ciò in S.O.S. Meteore non c’era traccia, e mi chiesi se E.P. Jacobs le avesse viste, a suo tempo, o se fossero state portate lì dopo, e perché.

Uscito dal boschetto, incontrai una cinquantina di ragazzini dell’Internato, in pausa colazione. Io non parlavo francese, ma qualcuno di loro spiccicava un po’ d’inglese.

Mi chiesero chi fossi; mi inventai la storia che ero un inviato di Repubblica, mandato lì proprio per ripercorrere i passi di Jacobs e per farne un servizio giornalistico. Così non fu difficile convincerli a mettersi tutti in posa per una foto di gruppo.

E così tornai ancora una volta da Buc, ancora una volta con qualcosa di nuovo.

 

Quinta parte

Sono più tornato lì? Sì, nel 1998, con la mia futura moglie. Tutto era ancora riconoscibile, ma con più fatica. I Portici ci sono ancora, ma hanno allargato la strada che porta lì da Buc. Invece, dell’Internato nessuna traccia: l’hanno abbattuto e al suo posto c’è una zona commerciale. Quindi anche il bosco delle statue è sparito.

Ora posso controllare in tempo quasi-reale, tramite GoogleMaps, come si evolve la situazione. Ogni tanto vado a vedere se per caso non gli è venuta l’idea di abbattere anche Les Arcades, così, tanto per piallare meglio il passato. A oggi – o, almeno, alla data di aggiornamento di GoogleMaps – i Portici ci sono ancora.

Ci tornerò? Credo di no. Quello che ho potuto avere l’ho avuto, oltre ogni aspettativa. C’è un filo rosso, fortissimo e indissolubile, che mi porta dalla mia stanza di quando avevo 5 anni ad adesso, che ho il satellite di Google sotto gli occhi. Il filo attraversa la mia vita a Venezia, il mio compagno di classe Paolo Piazza, passa per l’altro Paolo e un viaggio alle Orcadi e i miei vent’anni. Attraversa il periodo in cui ero ufficiale dei Carabinieri e avevo una fidanzata Stefania-quanti-ricordi.

Mi porta fin qui, con le pagine dell’ S.O.S. Meteore rubato sotto gli occhi e una storia per il mio blog.

Da qualche parte, nascoste da almeno dieci traslochi, ci sono centinaia di fotografie che testimoniano tutto, dal mio affacciarmi sul lago delle Ginestre nella stessa posa del professor Mortimer, allo stare seduto in cima a Les Arcades col sole che mi tramonta di fianco, alle strane statue dell’Internato.

 

Lo dico veramente: che cazzo potrei volere, di più?

 

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