Coccoluto

Coccoluto

Pietro Francesco Leopoldo Coccoluto Ferrigni è tra i miei idoli, per tre ragioni.

La prima (per importanza, seconda o terza) è il nome. Uno che si chiama “Coccoluto” ha diritto ad almeno un’azione criminale impunita, nel corso della propria vita. Invece il nostro ha attraversato impavidamente l’esistenza senza condanne penali di sorta. Onore al merito, per tale fardello.

La seconda ragione è per l’aspetto. Difficile confondere Coccoluto Ferrigni con Terminator, Chuck Norris o Brad Pitt. Corto di gamba e largo di fianchi, Pietro Francesco Leopoldo fisiognomicamente è l’anti-eroe per eccellenza.

Proprio queste due prime ragioni contribuiscono a valorizzare la terza, principale: Pietro Coccoluto Ferrigni sapeva pensare e scrivere come non è facile immaginare sulla base del suo nome e del suo aspetto. Vissuto – poco – nel bel mezzo dell’800, era dotato di una verve, un’ironia, una leggerezza rare e, in quel periodo storico, rarissime. Il suo soprannome d’arte era “Yorick figlio di Yorick”, un pò come l’odierno “Phtor figlio di Kmer” e – sono convinto – con almeno altrettanta sensibilità umoristica.

La sua composizione più nota, citata, richiamata e tramandata per me è un capolavoro. Non so se di ironia, di satira, di sarcasmo o di cinica critica. Si dice sia stata scritta per prendere in giro i fumosi poeti e/o intellettuali dell’epoca. Io voglio credere sia invece il semplice prodotto di una musica interiore, che Ferrigni sentiva dentro e fuori del suo aspetto.

Per me, un capolavoro insuperabile nel suo genere. Potentissimo nella sua totale assenza di sintassi.

 Quando, talor frattanto,
forse sebben così,
giammai piuttosto alquanto,
come perché bensì.

Ecco repente altronde,
quasi eziandio perciò,
anzi altresì laonde
purtroppo, invan però.

Ma se perfin mediante
quantunque attesoché
ahi! sempre nonostante,
conciossiacosaché.

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