Nonno

N
[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]Non ho mai capito il nonnismo, se non nella sua potenziale valenza di argine preventivo all’eventuale arroganza e presunzione dei nuovi arrivati. Ma non è affatto sicuro a priori che i nuovi debbano per forza essere così, per cui l’applicazione sistematica del nonnismo mi sembra piuttosto solo una valvola di sfogo da parte di personaggi frustrati e stressati.

Intendiamoci: alla Scuola di Artiglieria il nonnismo era un fenomeno sì diffuso, ma all’acqua di rose, ben diverso dai racconti – a volte francamente dell’orrore – di cui sentivamo dai nostri coetanei o dalla cronaca. E sconfinava spesso nel comico e nel grottesco, specie quando qualche nonno somigliante a un Picasso cubista male assemblato, con evidenti asimmetrie fisiche e l’unico neurone che gli rimbalzava nella scatola cranica, pretendeva di essere chiamato “bello e potente”. Mi ricordo uno di questi personaggi, un ragazzo con una faccia da cavallo, un paio di denti mancanti all’appello e gli occhi a palla alla Marty Feldman, che si presentava un giorno sì e l’altro pure per sentirsi dire che era – appunto – bello e potente. Poveraccio: doveva essere consapevole che si trattava dell’unica occasione nella sua vita per poter essere insignito di tali titoli.

Poi. “Bello”, lo capisco. Ma “potente”? Si riferiva a ovvie virtù sessuali – che nessuno di noi, grazie a dio, aveva prospettive di sperimentare – o a una non meglio precisata condizione sociale? Nonno, a me puoi dirlo in confidenza: in che cosa esattamente saresti potente? Da cosa lo capiamo?  Come ce lo dimostrerai? Sono sicuro che la formula “bello e potente” si perda nel buio dei secoli, e che alla Scuola essa fosse stata ereditata, all’inizio forse con qualche consapevolezza, fino a diventare corso dopo corso un puro e vuotissimo mantra, rituale quanto i Salmi. Di una cosa possiamo essere sicuri: non l’avevano di certo inventata quelli del 113°.

Rispetto alla complicate gerarchie di un qualsiasi battaglione di fanteria, secondo le quali cambi di status quasi ogni giorno (rospo, zanzara, spina, scheggia, anziano, sasso, nonno, fantasma…), un corso AUC contemplava solo due posizioni: o eri nonno o eri pistro. Veramente, ci sarebbe state anche due condizioni intermedie, limbiche e progressive, legate prima al passaggio della Stecca prima che i nonni se ne andassero e poi all’attesa del corso successivo. Nel primo caso, mordi il freno; nel secondo, ti prepari a copiare tutto quanto hai visto fare ai nonni. Quest’ultima è una grossa responsabilità: devi aver memorizzato tutte le minchiate udite, affinché la Tradizione non vada perduta. Per fortuna, noi avevamo un autentico campione mondiale di Riti&Rituali: Nonno Cutrona, il nonno più scoppiato che l’Occidente ricordi. L’imponente Cutrona aveva immagazzinato ogni più impalpabile sfumatura delle manifestazioni nonnistiche, come una spugna assorbe l’acqua, ed era in grado di replicarla con particolare creatività e siciliana arguzia. Egli divenne immediatamente il terrore dei pistri del 115°, sottoponendoli alle più efferate sottomissioni, almeno per quanto la sua natura in fondo gentile e amichevole poteva moralmente permettergli. Non so cosa – forse la sua aspirazione carabinieresca, che ne faceva un traditore in pectore delle vestigia dell’Artiglieria – determinò la scelta di non farne il nostro Capostecca, preferendogli il mite Castellani, ma di certo essa salvò da sicura pazzia un buon numero dei malcapitati del 115°. Già così essi furono adunati notturnamente molto più spesso di quanto era capitato a noi; con Nonno Cutrona al comando probabilmente non avrebbero dormito mai.

Ma sto divagando, rapito dal ricordo dell’inconfondibile immagine del nostro palermitano preferito. Dicevo che, salvo i due brevi intermezzi, alla Scuola l’auc si presentava secondo due sole modalità possibili: o eri pistro, o eri nonno. Passare dalla prima alla seconda condizione, se pur avveniva automaticamente e senza alcun merito non ascrivibile al mero trascorrere del tempo, recava una conseguenza non banale: avevi cambiato il tuo status, sia interno che esterno.

Dal punto di vista soggettivo, psicologico, ti portava ad accorgerti improvvisamente che quello che avevi sinora considerato un immutabile stato di fatto era – in realtà – un processo ciclico. Eri entrato alla Scuola guardando a tutto quel che ti circondava come “in alto” rispetto a te, e ora scoprivi che c’era stato un cambiamento di prospettiva: non eri più l’ultima ruota del carro. Ti rendevi conto che tua condizione sinora statica prevedeva un’evoluzione dinamica, le cose si muovevano davvero. Rispetto all’obiettivo in origine apparentemente inarrivabile di metterti un giorno alla pari dei tuoi attuali ufficiali, scoprivi che ciò era possibile, consentito, previsto. Tutto ciò, visto dall’esterno, è assolutamente ovvio; ogni osservatore terzo non potrebbe trovare in quanto dico che delle sconcertanti banalità. Ma la condizione di un nuovo auc, appena entrato alla Scuola, è di essere costantemente tenuto in forte subordinazione, con colonnelli, capitani, tenenti e nonni a dargli sempre e solo ordini. Ciò influenza non poco – attraverso l’auto-adattamento mentale – la percezione individuale, sviandola da ogni obiettività di giudizio circa il proprio reale posizionamento. La condizione di pistro non è tanto gerarchica, quanto psicologica. Non so voi, ma per me il passaggio da allievo a sottotenente, avvenuto di fatto in una frazione di secondo, tra la mezzanotte di un giorno e il primo minuto del giorno successivo, è stata quasi scioccante, senz’altro mistica. Non mi vergogno di ammettere che, proprio a mezzanotte, ho indossato la divisa da sottotenente, per avere un riscontro visivo a quel che la mia mente non riusciva ad accettare appieno (tra l’altro, per i Carabinieri l’impatto è ancora più forte, perché non si tratta solo di aggiungere le stellette, ma proprio di cambiare divisa).  Il passaggio tra pistro e nonno è della stessa natura, anche se non della medesima intensità.

Per quanto riguarda la valenza esterna del diventare nonno, essa si riassume in una parola: responsabilità. Sei nonno non quando hai ricevuto la stecca, né quando il corso precedente se n’è andato, ma nel preciso istante in cui arrivano i nuovi. È solo allora che senti davvero quel click nel cervello. E, un attimo dopo, comprendi appieno di essere entrato negli scarponi dei tuoi precedessori: ora sarai tu a coadiuvare i tuoi ufficiali nell’insegnare ai pistri a marciare, fare il cubo, evitare le vesciche coi nuovi anfibi. Nella tua mente, ti sovrapponi ai fantasmi delle immagini dei tuoi nonni e alla memoria delle loro azioni durante i primi giorni del tuo arrivo.

Il lato deteriore del nonnismo, invece di ispirarti una cordiale riunione in cui spiegare ai nuovi i piccoli trucchi e segreti per sopravvivere meglio, ti spingerà a progettare la prima adunata notturna, per il successo della quale pescherai tra i ricordi di quanto più ti ha messo a disagio durante quelle che hai subito tu. A 55 anni è facile pensare quanto ciò sia assurdo e fondamentalmente stupido: a 20, molto meno. Ma – secondo me – dietro a queste piccole crudeltà non c’è tanto un senso di rivalsa (non posso garantire per Nonno Cutrona, però!) quanto di adeguamento alla tradizione. Non vorremo mica che proprio il 114° interrompa anni e decenni di modus operandi, no? Così scopri che i tuoi vecchi “nemici” del 113° sono ora i tuoi maestri, coloro al cui ricordo ti ispiri, ti abbeveri, ti conformi. E solo quando avrai capito come funziona questa circolarità, questa ciclicità, sarai pronto ad accettare il fatto – ancora incredibile – che un giorno i Lubrano, i Gigliozzi, i Copponi, persino i Di Luca, sarai tu.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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