Ala Nera

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[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][qode_simple_quote text_title_tag=”h3″ author_title_tag=”h3″ background_color=”rgba(0,0,0,0.1)” simple_quote_text=”Questo breve racconto è dedicato alla memoria di uno dei miei più cari amici, Paolo Morelli, scomparso molti anni fa mentre stava per decollare sul suo deltaplano. Non temo certo che il ricordo di lui svanisca, né in me né in tante altre persone. Il racconto è solo la testimonianza che egli continua ad accompagnarci.” quote_symbol_color=”#000000″][vc_separator type=”transparent” up=”10″ down=”10″][vc_column_text]

ALA NERA

Ricky e io siamo amici da tanti di quegli anni… suppergiù una trentina, ormai… abbiamo fatto la scuola insieme. Lui ora si occupa di chitarre e deltaplani, nel senso che per mestiere fa il maestro di musica e per divertirsi si butta da monti ventosi senza sapere bene se atterrerà intero. Io invece sono diventato poliziotto e probabilmente è per questo, oltre che per la nostra amicizia, che mi ha chiesto di dargli una mano. Non che possa fare granché, ormai. Come dicono nei telefilm americani le prove, ammesso ci fossero, col tempo sono state inquinate, o semplicemente non sono più rintracciabili. In più io sul posto non c’ero, mentre Ricky sì, e quindi tutto quello che è successo non l’ho visto in diretta, ma me lo sono dovuto far raccontare da lui e da altri, ma non è la stessa cosa.

Non voglio fare il misterioso con voi, per cui vi dico subito di che si tratta: Ricky mi ha chiesto di indagare su una faccenda precisa, in cui c’entra un deltaplano, forse – a quanto mi hanno raccontato – il deltaplano più famoso che sia mai esistito, l’Ala Nera. Lui e i suoi amici mi hanno fatto una testa così, con ‘sto deltaplano fantasma, e devo ammettere che sono riusciti a incuriosirmi non poco.

Nel giugno di un anno fa, a Cortina d’Ampezzo venne organizzato un raduno di deltaplanisti, come spesso accade nella bella stagione. Era dedicato in memoriam a un collega morto in volo, Paolo Morelli. Conoscevo Paolo, più che altro perché era un personaggio piuttosto noto in città – per ragioni diverse dai deltaplani – e poi perché Ricky me lo aveva presentato brevemente, la prima volta di quel paio che li avevo incontrati per caso insieme. Bravissimo ragazzo, sfortunato a morire giovane, ma fortunato a lasciarci mentre stava facendo quel che amava di più.

Insomma, a giugno c’era questo raduno e Ricky era tra gli organizzatori. Per formarmi  l’idea migliore possibile della dinamica degli eventi, ho cercato di rintracciare più persone che ho potuto, di quelle che erano presenti. Naturalmente con discrezione e nessun impegno ufficiale né da parte mia, né loro: dopotutto non si tratta di questioni di Stato, ma solo della curiosità di Ricky e un po’ anche mia. Forse un po’ di tutti, a dire il vero. E così ho indagato.

Quello che segue è quanto ho trovato.[/vc_column_text][vc_column_text]La sera del 24 giugno, verso le 20, una barista (Cristina Frabin) che lavorava in uno degli stand interni al grosso capannone che ospitava il raduno, notò il tizio mentre leggeva con attenzione un manifestino affisso a uno dei pali di sostegno del tendone.

«Mi è rimasto impresso perché ero uscita a prendere dei cartoni di birra nel furgone e lui era lì, a cavallo di una mountain bike, concentrato sulla locandina, ma quando più o meno 10 minuti dopo sono tornata era ancora immobile, come se dovesse imparare a memoria quello che leggeva o avesse delle difficoltà, tanto sembrava assorto».

Mi sono fatto dare anch’io una copia del manifesto. Niente di particolare: illustrava il programma dei tre giorni di raduno, il luogo principale di appuntamento (il capannone), gli stand tecnici di accessori per deltaplani e di quelli gastronomici, nonché la scelta di intitolare l’occasione alla memoria di Morelli. C’era anche – tra le altre – una piccola foto di Paolo, scattata da qualcuno a terra mentre lui volava sul suo delta.

La testimonianza della Frabin non è che sia cruciale: serve semplicemente per assodare che il tipo stava già da quelle parti a inizio serata. Più tardi molti lo videro all’interno del capannone, mentre girellava per gli stand e le tavolate. Sembra assodato fosse arrivato da solo.

«Sì, mi ricordo di lui. Mi ha chiesto se poteva sedersi a un posto libero al tavolo dove stavo con i miei amici. Naturalmente l’ho fatto accomodare senza problemi e si è messo a mangiare, non mi ricordo se polenta con le salsicce o gli spiedini (ma non è importante, no?). Non sembrava molto interessato alla tombola, mentre io avevo comprato due cartelle». – (Mauro Beretta, idraulico e deltaplanista).
Un amico di Beretta: «Sembrava un tipo tranquillo, di non molte parole. A un certo punto ho chiesto a qualcuno – non mi ricordo a chi – che previsioni c’erano per il tempo dell’indomani. Allora questo tipo è intervenuto e ha detto: “Sul presto sarà bello, poi per ora di pranzo pioverà forte”. Mi ricordo di aver pensato ‘Speriamo che si sbagli’. Invece poi abbiamo scoperto che aveva ragione».

Molti presenti ricordano di aver visto il tipo avvicinarsi, verso le 23 e quindi a fine serata, al tavolo della direzione, dove c’era Ricky, e qualcuno ha anche notato che si mise a parlare con l’organizzatore-capo, Nicola.

Ho sentito anche Nicola, su sollecitazione di Ricky e prima di recarmi a Cortina. Esattamente come aveva già fatto Ricky, prima di riportarmi il dialogo avuto col tipo mi ha fatto una lunga premessa sull’Ala Nera. Mi ha detto che si tratta di un deltaplano di foggia inconsueta, certamente non prodotto da alcuna delle case costruttrici più note, almeno non ufficialmente. Nessun depliant, nessun articolo sulle riviste specializzate riguarda i suoi dati tecnici. Questo per il semplice motivo che – così mi hanno assicurato Ricky e Nicola – nel mondo dei deltaplanisti nessuno ha la benché minima idea di come funzioni quel particolare delta completamente nero. Non basta. Pare proprio che in aria faccia delle cose impossibili, totalmente in contrasto con le correnti d’aria che soffiano sulle piste di decollo o le piane di atterraggio, tanto da far sospettare a molti che in realtà sia dotato di un motore nascosto. Penso io (e pensano tutti) che la faccenda potrebbe essere risolta in fretta se qualcuno sapesse chi lo guida e fosse quindi in grado di scambiarci quattro chiacchiere. Invece, benché in parecchi abbiano assistito a suoi decolli e atterraggi, nessuno ha mai potuto rivolgere una sola parola al suo guidatore. Ma mi accorgo che devo correggermi. «L’Ala Nera è stata vista spesso, ma mai in decollo» – dice Nicola. È sempre comparsa già in volo, piuttosto frequentemente nel corso di diversi anni, su tutto l’arco alpino. È abbastanza ovvio che il delta fantasma sia diventato oggetto delle più disparate ipotesi, racconti, dicerie. I deltaplanisti nostrani dicono sia un mezzo artigianale italiano pilotato da un italiano; gli austriaci sono certi sia austriaco, i francesi… cosa vi aspettate possano mai dire i francesi? Probabilmente sono sicuri che sotto la tuta nera il pilota nasconda una bandiera rossa bianca e blu… Mi mancano le informazioni circa il punto di vista svizzero, ma credo si sia capito che in realtà nessuno ne sa un accidente di niente, da qualunque parte delle Alpi abiti.

L’ignoranza è da sempre il terreno più fertile per le mitologie. Non c’è deltaplanista che non sogni di incontrare in volo il collega nero. E a volte in effetti succede, anche in presenza di numerosi testimoni, che qualcuno si sia visto affiancare in aria dal superdeltaplano, e che poi racconti, emozionato o euforico o tutt’e due, di essere stato persino oggetto di un fugace saluto con la mano da parte del pilota misterioso, protetto da un casco integrale con la visiera a specchio. Nessuno di costoro ha mai visto niente che somigli a un motore, sull’Ala. Almeno – penso io – questo pilota non si mostra minaccioso o pericoloso, ma anzi quasi cordiale, benché non identificabile né interessato a esserlo. Insomma, non è un Vampiro alato né il Barone Rosso: meglio così.

Quando Nicola finì la sua lunga premessa, mi parlò del visitatore di quella sera.

«Vedi, noi ci conosciamo praticamente tutti, almeno di vista, o direttamente o perché quelli che non sono nostri amici sono amici di amici, ma quel tipo non l’avevo mai visto prima. E ti assicuro che non ne conosco pochi. Voglio dire, quello non era “dell’ambiente”. Venne al tavolo della direzione e mi chiese se ero l’organizzatore dell’evento. Quindi mi parlò a bassa voce. Non aveva un accento riconoscibile: poteva essere trentino come veneto o friulano, o magari anche di Milano, tanto non si capiva. Mi disse, calmo e tranquillo, che doveva consegnarmi una lettera che aveva a che fare con il raduno e con Paolo Morelli. Aprii la lettera che era in una busta chiusa, e in pochi secondi non sapevo più che pensare. Il testo era scritto a mano, ma in stampatello, e diceva che… ma te lo faccio leggere, perché l’ho conservato».

“Gentili Signori,
ho saputo di questo Raduno e apprezzo la vostra iniziativa di intitolarlo al mio carissimo amico Paolo. Egli manca a me come, immagino e spero, a molti di voi. Vorrei perciò portare un omaggio personale a Paolo, volando con voi. Se avrete la cortesia di informare chi vi ha dato la lettera sull’orario preciso di inizio della vostra commemorazione in volo, vi garantirò la mia presenza.
Ala Nera”

Nicola mi guardava, mentre leggevo queste parole, cercando in me qualche segno che smentisse o avvalorasse tutti i suoi pensieri. In pratica, chiedendomi con gli occhi cosa ne pensassi io, voleva sapere cosa pensava lui stesso. Ma un fatto era ormai accertato da un anno: l’Ala Nera aveva effettivamente volato con loro, il giorno dopo. Si trattava quindi soprattutto di capire chi fosse “il latore della presente”: era forse il misterioso pilota? Si era presentato come Andrea e – all’ovvia domanda di Nicola – aveva ammesso di possedere il numero di telefono del pilota, pronto a chiamarlo per riferirgli l’orario del volo commemorativo. Forse, però, il numero non l’aveva, semplicemente perché non aveva alcun bisogno di telefonare a sé stesso. Ma perché voleva a tutti i costi mantenere l’anonimato?

Poi Nicola concluse: «Non sapevo se prenderlo sul serio o no. Come immaginerai, non c’è raduno o anche semplice uscita in gruppo o da soli, in cui noi non sogniamo di incontrare l’Ala Nera. Poterla considerare come eccezionale e previsto ospite d’onore avrebbe dato al nostro raduno un’enorme risonanza e avrebbe reso l’omaggio al povero Paolo una di quelle occasioni di cui si parla poi per decenni. Sarebbe stato il primo caso in assoluto in cui l’Ala Nera anticipava e garantiva la sua presenza: una cosa incredibile! D’altra parte, c’era anche il rischio si trattasse di uno scherzo, una presa in giro di pessimo gusto. Che figura ci avremmo fatto se poi l’Ala non si fosse fatta vedere? Avremmo detto a tutti che ci aveva mandato il solito telegramma “Purtroppo, impegni inattesi rendono impossibile la mia partecipazione. Vogliate gradire i sensi…bla bla bla”? Dovetti decidere sul momento cosa fare. Cercai di capire chi fosse in realtà e quali credenziali avesse questo Andrea – ammesso poi si chiamasse veramente così – ma lui rimase estremamente evasivo, ammettendo solo di conoscere il pilota dell’Ala e di essere stato contattato da lui per fare l’ambasciata. Non volle aggiungere altro, ci salutò cortesemente e se ne andò dal tavolo. Così, su due piedi, scelsi di comunicare al microfono che avevamo avuto notizia che forse, probabilmente, salvo cambiamenti di programma dell’ultimo momento, l’indomani l’Ala Nera avrebbe volato con noi. Cercai di non essere troppo enfatico e definitivo, e i miei stessi dubbi mi aiutarono a trovare il tono giusto nel dare l’annuncio. Ma, nonostante tutta la mia prudenza, inutile che ti dica che in sala scoppiò comunque un casino indescrivibile e decine di colleghi e amici corsero immediatamente al mio tavolo per avere ulteriori particolari, che naturalmente non potevo fornir loro, semplicemente perché non ne sapevo niente più di quanto avevo appena riferito. Ricordo però che, parlandone con Ricky, conclusi che se ci avevano voluto fare uno scherzo, a quel punto avremmo fatto una figura di merda di quelle colossali. A conti fatti, la lettera che avevo in mano non provava niente, o magari solo che mi ero lasciato infinocchiare».

«Sì, certo che l’avevamo notato. Mi era sembrato che quel tipo avesse qualcosa a che fare con la comunicazione di Nicola. Stavo fuori, a commentare con gli amici l’incredibile notizia, quando lo vidi inforcare una mountain bike rossa e andarsene verso la statale». – (Roberto Ferlat, ingegnere e deltaplanista).

Il giorno dopo, mentre montavano i propri delta nei pressi del luogo di decollo, tutti i piloti tenevano un occhio in giro, per essere i primi a poter gridare che l’Ala Nera era arrivata a raggiungerli. Ma solo dopo che molti di loro erano già decollati, in alto, molto in alto, sopra ogni sopra, comparve un piccolo e inconfondibile triangolo nero, che al di sopra di ogni sopra rimase per più di un’ora, per poi allontanarsi verso ovest. Nessuno, tra i tanti che ci provarono, riuscì a raggiungerlo mentre volteggiava in cerchio nel cielo via via più nuvoloso. Sparì pochi minuti prima che il vento diventasse pericoloso, portatore di pioggia e bassa pressione, la nemica giurata dei deltaplani. Ma stava a una tale altezza che era guidato dalle correnti d’alta quota, completamente diverse da quelle che stavano ammassando le scure nuvole del temporale, il quale si abbattè da lì a poco con furia rovinosa, inzuppando tutti fino all’osso e costringendoli ad atterrare alla bell’e meglio.

A Cortina, a meno di un chilometro dal luogo del raduno, c’è un campeggio. In maniera semiufficiale, chiesi al gestore (Renzo Bruscagnini) se nel giugno dell’anno prima il campeggio avesse ospitato un qualche Andrea, maschio, di approssimativi 30-35 anni, capelli castani e nessun segno particolare visibile. Ovviamente Bruscagnini non si poteva ricordare di uno fra i tanti clienti, tra l’altro dopo un anno, ma guardò volentieri nel registro delle presenze. Non risultava nessuno con quel nome, almeno in giugno. Come mi aspettavo. Eppure, andandosene dal capannone, quasi a mezzanotte e in bici, dove diavolo poteva andare, altrimenti? Però la moglie del gestore (Monica Nardin), sentendomi parlare di deltaplani e deltaplanisti, ricordò un episodio che giudicava strano.

«Un anno fa, sarà stato forse giugno, non ricordo bene, ho visto di primissimo mattino (aveva appena fatto luce) uno di quei cosi volare basso, appena sopra il fiume che costeggia il campeggio. Pensavo si buttassero dall’alto, da sopra un monte. Mi ha fatto davvero specie trovarmelo lì, come un’aquila che esplora il fiume. Ne ha seguito il corso per un po’, poi è salito improvvisamente verso l’alto, ed è sparito».

Già, cara signora, pensiamo un po’ tutti che i delta debbano partire da una cima ventosa, e soprattutto che non possano planare sopra un torrente senza dover atterrare entro pochi metri, a causa della bassa pressione provocata dall’acqua fredda. A meno che non si tratti dell’Ala Nera.

A Cortina non sono riuscito a raccogliere altro e quindi non ho potuto aiutare granché il mio amico Ricky. D’altronde, ormai era passato un anno. Però, in definitiva, le mie informazioni non smentiscono l’ipotesi – per quanto azzardata – che il pilota del delta nero abbia effettivamente passato la notte in quel campeggio, per poi alzarsi in volo e rendere il promesso omaggio a Paolo Morelli.

La morale che ne ricavo è che probabilmente, anzi quasi certamente, è meglio lasciare le cose così, nel dubbio e nell’incertezza, in modo che altre favole e leggende si sviluppino intorno all’Ala Nera, soprattutto quando a beneficiarne è la memoria di un amico scomparso prematuramente e ingiustamente.

Dopo il volo del mattino – quello dell’Ala e del temporale correttamente previsto da “Andrea” – al raduno Nicola lesse a tutti la famosa lettera, in cui il deltaplanista più misterioso e famoso d’Europa dichiarava la sua “carissima amicizia” con Paolo. Ditemi voi che altro favore si può fare a un amico, perché il suo ricordo resti.

Ricky, quando gli ho portato – con le mie scuse – gli scarsissimi risultati della mia indagine, è rimasto molto colpito dalla breve dichiarazione della moglie del gestore del campeggio, e si è fatto assolutamente persuaso che in quel primo mattino lei abbia visto proprio il deltaplano misterioso. Forse ha ragione, o comunque non c’è motivo di non lasciarglielo credere.

Adesso Ricky è passato a chiedersi come mai lui non avesse mai saputo niente di quell’amicizia che aveva portato l’Ala Nera a partecipare al volo commemorativo. Paolo non era un introverso, né uno che amasse tenere per sé dei segreti.

Beh, certo Paolo non era introverso, ma se gli si chiedeva – in amicizia – di non rivelare qualcosa, avrebbe sicuramente mantenuto l’impegno. Era un uomo con una sola parola. Questo lato della faccenda non mi ha mai preoccupato. Mi preoccupa di più non essermi assolutamente accorto, nella fioca luce di quell’alba, che la moglie del proprietario del campeggio avesse assistito al mio decollo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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