Sorpresa finale

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La letteratura di racconto si fonda spesso sulla “sorpresa finale”.

Girando per un po’ di siti letterari (sarebbero quei siti dove aspiranti scrittori si fanno leggere da aspiranti critici, indipendentemente dalle capacità degli uni e degli altri), osservo che il finale a sorpresa viene adottato in un caso su due. Molto spesso, capita che la sorpresa sia la vera ragion d’essere del racconto stesso.

Assai più difficile è trovare dei finali a sorpresa in un romanzo, per ragioni tanto ovvie da non dover essere descritte (se volete che le descriva, indirizzatemi una supplica in privato). Non ho molti esempi sottomano di romanzi che si chiudano con un coup de theatre, ma qualcuno mi è rimasto impresso.

Il primo di cui ho chiara memoria è Confessioni di una maschera, di Mishima. Tutto il libro è tremendamente appallante: il protagonista non sa se o se non, in uno stillicidio di batti e ribatti e sfoglia la margherita che minaccia di non finire mai. A cinque pagine dalla fine, invece, finisce. E la descrizione della festa in cui la povera findanzata scopre finalmente le preferenze sessuali del protagonista ripaga il lettore delle precedenti 46.000 pagine di appallamento. Non per questo è un libro che raccomanderei, ma almeno mi ha sorpreso.

Un esempio molto migliore e meno doloroso per la lettura sta in The Man In The High Castle (La svastica sul sole), (1962), di P.K. Dick. A parte l’indubbio valore intrinseco del romanzo, ottimo anche in assenza di sorprese, ad attendere al varco il lettore c’è l’episodio finale della lettura degli I-Ching, quando a poche pagine dalla fine si scopre che…beh, leggetelo! Il finale ribalta a 180° tutto lo svolgimento e l’interpretazione di quanto avvenuto sinora. Il lettore deve riguardare a tutto quel che ha appreso in una luce nuova e ancora più inquietante della già opprimente atmosfera che permea ogni pagina. Dick ti prende, ti beffa, ti guarda come si guarda un cretino e ti lascia lì.

Se il metro di merito è collocare la sorpresa più in fondo possibile, meglio di Dick fa Frederick Forsyth ne L’alternativa del diavolo. Il gioco di imbrogli, tranelli e false piste imbastito dagli spionaggi internazionali si scioglie alla penultima pagina, quando il furbacchione di turno si scopre fesso: non era lui a portare a spasso il cane, bensì viceversa.

Ma poi leggi  ancora Dick, Ubik (1969), e scopri un record che probabilmente può essere solo uguagliato, ma non superato. Parentesi: a mio avviso, Ubik è tra i dieci libri da avere. Nel romanzo, Dick ti porta a spasso nei suoi personali deliri, confezionando un sogno che richiede continui aggiustamenti percettivi. Alla fine  l’ultima frase del libro ribalta tutta la realtà e il significato dell’opera. Tu già avevi problemi a stargli dietro, ma quella frase ti rispedisce al mittente come un cazzotto in piena faccia. Letto Ubik, per riprendermi un minimo ci ho messo due settimane (e ancora ho i postumi, dopo una ventina d’anni).

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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