Donne

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[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column][vc_column_text]A teatro mi hanno chiesto di scrivere un monologo sulle donne, pensato dal punto di vista del personaggio che dovrei interpretare: una specie di viaggiatore/poeta russo, seduttore e cinico.

Non ci ho messo molto. Più o meno di getto, è uscito questo:

 

DONNE

Le donne. Non ho mai avuto problemi, con le donne. Forse è meglio se comincio col dire che ho sempre avuto problemi, con le donne: il discorso viene più facile e lo capite meglio.

Le donne mi piacciono, certo; e io piaccio a loro; ma non è come dovrebbe essere. Piaccio per i motivi sbagliati.

Se la vogliamo mettere in altri termini: sono sbagliato io e sono sbagliate loro. Abbiate pazienza, che ci arrivo.

All’asilo pensavo che le bambine fossero delle specie di angeli: mi piacevano quelle bionde, con gli occhi azzurri e un sorriso luminoso. Le guardavo in continuazione, anche se non sembravano neanche accorgersi della mia esistenza.

Mi innamoravo perdutamente e seriamente ogni settimana: erano così irresistibili! Solo, sembrava che potessero fare senza di me più di quanto potessi fare io senza di loro. Credo che tutto quel che è venuto dopo sia derivato da questo. Almeno per la parte che dipende da me.

 

Per farla breve, a 10 anni mi ero già innamorato un migliaio di volte, ma stavo cominciando a scoprire che le ragazze avevano anche un carattere e che questo non era quasi mai in linea con le mie aspettative: io le credevo angeli, invece, anche quelle che ci somigliavano non lo erano. Quasi mai. No, proprio mai.

Dopo anni orribili, ormai 17enne avevo capito che alle ragazze non devi dare quello che dicono di volere, proprio come canta quella canzone di un uomo deluso. Che potevo fare? Mi sono attrezzato. A quell’età attrezzarsi significa nascondere accuratamente quello che sei davvero – e di cui alle ragazze non interessa niente – comprarti un paio di jeans giusti e qualche maglietta di marca, e cominciare a guardarti in giro con l’aria di uno che pensa veramente a tutto tranne che alle ragazze. Funziona così meravigliosamente bene che sembra un miracolo. Invece, è solo per come funziona il cervello delle donne, o qualunque altra parte del corpo con la quale ragionano, se mai ce n’è una. E questa comincia a essere “la parte sbagliata” che riguarda loro, le femmine. Mio cugino, più o meno in quel periodo, mi rivelò per caso il Grande Segreto: mi disse “donne, bambini e cani, più li tratti male più ti si affezionano”. Sarà anche poco politically correct, ma aveva ragione al 1000%. Inutile dire che lui ne aveva tante da non sapere dove metterle.

Applicando questo semplice principio, da quel momento ho avuto la fila fuori dalla porta. Forse non avrò avuto tutte quelle che volevo, ma quante ne volevo senz’altro sì.

Non occorrete voi, per farmi capire che c’è qualcosa che non va, in uno che dev’essere diverso da come si sente per avere un codazzo di ragazze che amano essere trattate da soprammobili. L’avevo detto all’inizio. Forse però voi riuscite a spiegarmi cosa c’è che funziona in una che vuole essere trattata così. Negli anni ho sentito un sacco di spiegazioni: il senso di protezione da parte dell’uomo che vive pericolosamente, il maschio alfa, le donne che amano troppo e le infermiere io-ti-salverò. Tutte queste dotte elucubrazioni sono solo riuscite a convincermi che le donne sono delle semplici masochiste o delle masochiste presuntuose, fate voi. Bella roba, per chi era partito dagli angeli biondi.

 

Da quando ero ragazzo, il mondo è cambiato. La crisi del maschio ha portato come inevitabile conseguenza anche la crisi della femmina. Come uomo eterosessuale, anche se ti salvi dalla crisi del maschio non puoi scansare quella della femmina. C’è quel bel proverbio usbeko che riassume la situazione odierna: “l’uomo vuole una cosa sola; la donna molte, ma non sa quali”. Così ora mi aggiro tra femmine isteriche e insoddisfatte, che chiocciano come galline cui non riesce di fare l’uovo. Dicono di non volere il Principe Azzurro (e difatti poi si impelagano sempre col Cavaliere Nero) e di sapersi accontentare di uno onesto, sincero, che le faccia ridere. Pare che da sole non siano capaci, di ridere e di divertirsi: serve un supporto tecnico esterno: l’uomo clown, in servizio continuativo e senza ferie. Poverine!

Le donne di oggi hanno pretese modeste: vogliono solo che tu sia alto ma basso, magro ma grasso, forte ma debole, dolce ma rude e – se possibile – ricco ma ricco. E che tu dica sempre loro che sono eleganti, ben truccate, con un colore della tintura per capelli che non riuscivi a immaginarne uno più seducente. Fanno le dure, le convinte, le realizzate, ma sono fragili come cristallo.

 

Ci sono tre tipi di uomini che hanno successo con loro. Quelli che dicono sempre di sì, quelli che dicono sempre di no e quelli che non dicono niente. Io mi alterno tra il tipo due e il tipo tre. Ho sempre la fila fuori, come un tempo, ma ormai faccio più fatica ad aprire la porta, perché so già cosa mi posso aspettare. Dev’essere per questo che dormo male e ogni notte sogno angeli biondi che non sono mai esistiti.

 

Guardatemi bene. Non sono bello, e neanche brutto. Ma non è questo il punto. Il punto è che faccio lo scrittore, sono uno che ha viaggiato e non si annoia, perché può sempre pensare a quello che ha visto; che non sbava dietro a un culo e due tette perché ne ha visti e palpati in abbondanza. Sono un tipo autonomo, che per una donna è una specie di parola magica, che la fa sognare. E una donna che non sa scrivere, che non sa neanche immaginare cosa possa voler dire perché non ha niente da raccontare, che non ha mai viaggiato perché le salterebbe il cinema del martedì e il bridge del venerdì sera, tutto quello che riesce a sperare è di mettersi in casa chi quelle cose le ha fatte – o dice di averle fatte: le donne sono facili da raggirare.

Così eccomi qua, bello e impossibile e maledetto. Secondo loro, beninteso. Io so benissimo di essere uno stronzo qualunque, ma le femmine umane sbavano per la poesia del viaggiatore solitario che poi si racconta. E quelli impossibili, narcisisti e maledetti, poesia e lacrime le garantiscono sempre. Così, per me, la prova del mio successo non è quante ne ho fatte ridere, ma quante ne ho fatte piangere. In quanto a questo, il mio curriculum non è niente male.

Il dazio che devo pagare per riempirmi il letto è sentire ‘ste oche parlare per ore del colore delle tende della cucina e vederle controllare in continuazione il loro biglietto, ma non si sono accorte che il treno della vita è già passato e non tornerà indietro a riprenderle.

 

Vorrei tornare all’asilo e provare a guardare quelle bambine bionde in un altro modo, per non restare deluso dopo e per poter cambiare così tutto quello che è stato. Ma non posso: io quel treno l’ho preso e non so se sto meglio di loro, che saltellano isteriche, impotenti e angosciate sulla piattaforma. Perché io davvero non so dove sto andando e se sto andando da qualche parte.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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