L’Altalena (cap.4 “Articoli” -1)

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Capitolo 4 – Articoli

A Roma, fatti tradurre gli articoli, cominciai il giro delle sette chiese, partendo dalle cattedre di meccanica razionale delle università dove avevo qualche contatto. Quasi subito scoprii che nessuno si occupava dei temi trattati nei due lavori, che comunque erano di argomento molto diverso l’uno dall’altro. I fisici miei conoscenti (e gli altri che questi mi presentarono) si trovarono subito tutti d’accordo che, per uscirne vivi, occorreva formare un “gruppo di studio” composto anche da matematici. Le cose si mettevano subito male…

Dopo un paio di mesi passati a giocare a scaricabarile, il solito Larson, cui per telefono stavo facendo il resoconto dell’attuale impasse, pronunciò le Parole di Verità: «Caro Ed, i professori universitari sono diversi l’uno dall’altro, ma una cosa li accomuna: una particolare sensibilità al conio. Ho scoperto da anni come avere una cosa presto e bene, da loro. Pagandoli».

Era una prospettiva nuova per me; ero sempre stato convinto che all’università si ricercasse per il solo e puro amore della Scienza, e la prospettiva ventilata da Larson non solo mi feriva nel portafoglio, ma mi scandalizzava sotto il profilo etico, scuotendo la mia fiducia nell’ascetismo degli accademici. Solo ricordando che in gioventù un monaco buddista (presumibilmente più ascetico di ogni professore) si era prima provato e poi serenamente tenuto i miei occhiali da sole, decisi di percorrere quel sentiero. Come per miracolo, funzionò. 10.000 euro aprirono i sacri portali delle Cattedrali della Conoscenza, e in due mesi il vagheggiato gruppo interdisciplinare produsse i risultati attesi.

Un bel giorno fui così convocato – essenzialmente nella mia veste di finanziatore di ricerca – da sua santità il direttore dell’istituto.

Quando mi accolse, il serenissimo sedeva tutt’altro che sereno nel proprio studio.

«Caro dottore» – esordì – «le confesso subito il mio imbarazzo. I lavori che mi ha dato da analizzare hanno richiesto un gran lavoro…». “Ahi!” – pensai – “Ecco che mi ribatte cassa.” Ma ero un malfidato miscredente.

«…Veramente un gran lavoro, e non sono sicuro che i miei colleghi siano veramente riusciti a sviscerare completamente il problema. Anzi, per essere franco, le dirò che non ci sono riusciti». “Ecco come salutare i miei soldi” – pensai ancora, ma erano proprio pensieri spregevoli, i miei: il seguito del suo discorso mi smentì completamente.

«Quello che lei ci ha dato è un lavoro, entrambi gli articoli, fatto bene. Oserei dire di più: un lavoro coi fiocchi. Mi piacerebbe molto conoscere questo professor Akundjanov del quale – devo ammettere – non avevo mai sentito parlare. Ma lei è sicuro che abbia fatto tutto da solo?».

No, non ne ero sicuro. Ero appunto lì perché me lo dicesse lui.

«Vede» – proseguì l’eminente – «questi lavori contengono un’analisi molto raffinata di proprietà fisiche di spazi si può dire creati ex novo, e sono supportati da una strumentazione matematica altrettanto raffinata, per giunta padroneggiata con maestria».

Non potevo guardarmi in faccia da solo, ma la mia espressione doveva alternarsi tra “occhi sgranati e bocca aperta” e “ma cosa mi dici mai?” da TopoGigio.

Il colendissimo, imperturbabile (ma sempre a disagio con se stesso) proseguì: «A essere sincero, non so di nessuno che abbia percorso il filone di ricerca intrapreso in questi articoli, ed è proprio la loro originalità ad averci procurato i maggiori problemi – diciamo così – interpretativi». Finalmente arrivò al dunque: «Il primo articolo, come le dicevo, definisce le proprietà fisiche di uno spazio duale. Sotto il profilo della fisica, ad Akundjanov interessava includere il duale perché così si conserva l’energia complessiva. Mi capisce?».

Lo capivo, lo capivo anche troppo bene: sentii un brivido e, allo stesso tempo, mi veniva da ridere.

«Fa un’analisi dell’energia nel duale di alcuni semplici comportamenti dinamici. In questo non c’è nulla di strano, anzi direi che non c’è nulla di notevole: è una specie di esercizio ad alto livello. Quello che invece è notevole è la parte dinamica. In pratica, il cuore dell’articolo riguarda le variazioni energetiche tra lo spazio normale e il suo duale. E’ in questo, che l’articolo è innovativo. E, le devo dire, originale».

A questo punto, non avevo bisogno d’altro. Ma ascoltai anche il resto, come in trance.

«Nel secondo lavoro, che è direttamente collegato al primo, l’autore prende un’equazione piuttosto complicata e la applica al suo spazio, trovandovi una risoluzione particolare. A parte la complessità dell’equazione usata per la “prova”, è notevole il modo in cui mostra lo scambio di flussi energetici tra i due spazi. Qui – devo dire – abbiamo avuto più difficoltà ad interpretare il senso vero: non abbiamo capito bene le possibili implicazioni del lavoro. Le ripeto: è molto originale. Varrebbe senz’altro la pena approfondirle».

Il direttore continuò a commentare ancora un po’, ma io non lo sentivo più. Una risata mi saliva da dentro, e facevo difficoltà a trattenerla. Alla fine mi congedai, con un misto di gratitudine e di compassione nei confronti suoi e dei suoi colleghi. Mi sembrava di avere appena appreso la parola magica per la caverna di Alì Babà, e il direttore non sospettava niente. Ma avevo ancora un problema: non sapevo dove fosse la caverna.

Akundjanov non era pazzo, o almeno non si era rincretinito improvvisamente. Aveva compiuto da solo uno sforzo intellettuale che più di trent’anni dopo un intero team di esperti faticava a seguire. I suoi tre articoli erano collegati, e ciascuno rappresentava un passo ulteriore nella medesima direzione di ricerca. Non avevo fatto esaminare “Velikie kacheli” per non alienarmi ogni possibile supporto tecnico, in quanto nessuno – neanche se affamato di denaro – mi avrebbe preso sul serio e, ancora peggio, avrebbe letto i primi due lavori alla luce dell’ultimo. No, in questo avevo fatto bene.

L’ultima domanda che avevo posto al direttore era stata semplice: gli avevo chiesto se tra i “comportamenti meccanici” utilizzati negli articoli ci fosse anche l’esempio del pendolo. La risposta – un po’ stupita – era stata affermativa.

Così, Akundjanov non aveva finito per occuparsi di altalene dopo cose più serie, ma aveva cominciato a farlo, e probabilmente prima di arrivare ad Akademgorodok. Già l’articolo del ’62 era – a detta del direttore – così complesso da richiedere con tutta evidenza più di due anni di lavoro. Il mio era e restava un azzardo, ma ero pronto a scommettere che Sergei Gennadovich avesse sentito parlare della grande altalena ben prima di infoibarsi nella Siberia meridionale.

L’ultimo colpo arrivò da solo. Su una rivista mi capitò per caso di leggere una breve storia dell’Accademia delle Scienze sovietica. C’era solo un accenno ad Akademgorodok, ma le date riportate nel testo non mi tornavano. Feci allora un rapido controllo, e scoprii che sinora mi ero sempre sbagliato.

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SU DI ME

SONO EDOARDO, NATO A TRIESTE NEL 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. CONTINUA...

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