Airfix

A

Non mi ricordo esattamente quando ricevetti in regalo la prima scatola di soldatini Airfix, ma mi ricordo che erano due: nordisti e sudisti. I primi blu, i secondi grigi. La ditta cercava di coordinare i suoi micro-pezzi (scala 1:72) con un colore rappresentativo, perché poi colorarli a mano era impossibile (e impensabile: chi se ne frega?). In breve tempo, e poi in anni, la collezione aumentò considerevolmente in quantità. A me non interessava collezionarli come fanno i nerd, bensì giocarci in modalità strategica, vale a dire con schieramenti, centri comando, postazioni difensive etc. Molto molto raramente li usavamo anche in modalità tattica, che sarebbe sul pavimento a mo’ di birilli, ma per questo erano troppo piccoli e non cadevano mai. Invece, per la strategia serviva un tavolo possibilmente grande e un buon numero di suppellettili (libri, portapenne, scatole) a simulare il territorio.

I soldatini venivano – all’inizio – in scatoline con una finestrella trasparente e con un disegno in stile naif. Tra l’una e l’altro ti facevi un’idea del contenuto. Poi bisognava staccarli a uno a uno dalla rastrelliera, facendo attenzione che non ne rimanessero pezzetti attaccati alla base, ‘che se no i soldatini non si reggevano in piedi. Le rastrelliere non venivano buttate, perché erano ottime come reticolati e barricate.

Col senno di poi, devo dire che la qualità del singolo soldatino era eccezionale. Gli stampi erano molto precisi, e se non proprio gli occhi potevi distinguere tutte le altre componenti della faccia, comprese barbe e baffi. In ogni scatola i soldatini erano “a gruppi”, nel senso che su 32-34-36 pezzi ce n’erano diversi (di solito 4-6-8) uguali. Anche qui non so di quali consulenti si avvalesse la Airfix, ma indubbiamente conoscevano il proprio mestiere: tanti con l’arma spianata, tanti in posizione di guardia, tanti come serventi di minuscole armi da plotone (mitragliatrici e mortai, prevalentemente).

In breve ti facevi una precisa idea del grado di combattività di ogni scatola, a seconda del numero di pezzi con le armi puntate. E quindi, simmetricamente e per contro, c’erano anche le “scatole-fregatura”, cioè con pochi uomini pronti a sparare. In particolare mi ricordo una scatola sul Vecchio West che tra cavalli, carri, stanghe per l’appaiamento e coperture dei conestoga aveva ridotto i pistoleri ben sotto il minimo sindacale. E come facevi a combattere gli indiani, in queste condizioni? Impossibile. Poco diversa la situazione per i paracadutisti americani della II guerra mondiale (“Paratroopers”): tra paracadute, addetti radio e portantini (con tanto di barelle) non c’era quasi nessuno pronto a far fuoco. La terza scatola-fregatura che mi ricordo era quella degli arabi (di colore bianco), che se li mettevi sui dromedari cadevano.

Le guerre e le battaglie potevi impostarle con tutta la fantasia che volevi. Spesso i tedeschi della II guerra mondiale si univano a quelli della I, per fare massa. Se i cow boy non bastavano per gli indiani cattivi, usavi anche i nordisti, impiegabili anche contro l’esercito russo che difendeva Stalingrado con tanto di micro-mitragliatrici. Gli arabi potevano essere utilizzati come supporto per i marines contro i giapponesi, e via di questo passo. Nel mio caso, quest’accozzaglia di alleanze risultava favorita da due fatti: incredibile dictu, tra me e mio fratello nel solo caso degli Airfix vigeva il principio che il giocattolo era in comune (cosa mai successa né prima né dopo con qualsivoglia altro passatempo); per motivi misteriosissimi e assai poco efficienti ci liberavamo subito delle scatole di confezione, mettendo tutte le centinaia se non migliaia di soldatini in un’unica scatola grande di legno, per cui poi per giocare te li dovevi pescare a uno a uno in quel melting pot, il che suggeriva insolite e temporanee alleanze.

Non mi vergogno affatto di dire di aver giocato con gli Airfix fino ai 14 anni, quando il trasferimento a Trieste ci ha fatto abbandonare lo scatolone di legno (che nel frattempo si era arricchito anche di diverse confezioni Atlantic, qualitativamente molto inferiori). Invece, posso dire con certezza che il giocare coi soldatini abbia sviluppato la mia visione strategica e “pianificatoria”, tanto che associo la mia laurea in Econometria al medesimo modo di guardare alle cose che avevo riservato ai piccoli Airfix.

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SU DI ME

Sono Edoardo, nato a Trieste nel 1959. Lì ho ancora una casa e ci torno quando mi va, ma da molti anni vivo a Roma. A Roma sono nati i miei figli, e tanto basterebbe a giustificare sia la mia esistenza che la permanenza nella capitale. Continua...

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